Nauru tra Pechino e Canberra: le elezioni dell’11 ottobre e la rielezione di Adeang

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Le elezioni legislative dell’11 ottobre a Nauru hanno confermato in Parlamento la leadership di David Adeang, rieletto presidente senza opposizione il 14 ottobre. Adeang ora deve trovare la mediazione tra la cooperazione cinese e le pressioni dell’Australia.

Le elezioni legislative che si sono svolte a Nauru lo scorso 11 ottobre hanno ridisegnato il Parlamento solo in senso solo parziale, riconfermando molte figure di primo piano della politica nazionale e riportando in Aula il presidente in carica, David Adeang, 55 anni, eletto nel collegio di Ubenide con 837 voti, il punteggio più alto del collegio secondo il conteggio preferenziale adottato nel Paese. Pochi giorni dopo, nella seduta inaugurale del nuovo Parlamento, il 14 ottobre, Adeang è stato rieletto Presidente della Repubblica senza alcun rivale, cioè senza che venisse nemmeno formalizzata una candidatura alternativa.

A beneficio del lettore, ricordiamo che Nauru è una repubblica parlamentare nella quale il Presidente non è scelto direttamente dagli elettori, ma è votato dai deputati e tra i deputati, e in questo caso nessuno dei diciotto parlamentari aventi diritto di voto ha sfidato Adeang. Marcus Stephen, ex capo di Stato e figura di grande peso politico, è stato eletto Speaker (Presidente del Parlamento), mentre Isabella Dageago è stata scelta come sua vice, garantendo alla nuova legislatura un profilo di continuità istituzionale e di esperienza politica. Nel suo primo atto dopo la riconferma, Adeang ha annunciato che nominerà ministri e vice-ministri scegliendoli tra i parlamentari eletti e ha poi formato un nuovo gabinetto per guidare il Paese nei prossimi tre anni.

Il voto dell’11 ottobre non ha riguardato soltanto il rinnovo dei diciannove seggi del Parlamento, ma anche un referendum costituzionale in cui agli elettori è stato chiesto se fossero d’accordo ad allungare la durata della legislatura da tre a quattro anni. Perché l’emendamento entrasse in vigore serviva una maggioranza qualificata dei due terzi. Il risultato, tuttavia, è stato netto, con il fronte del No che ha ottenuto 4.601 voti, pari al 55,33%. Gli elettori, in altre parole, hanno rifiutato di concedere al Parlamento un anno in più di mandato e hanno difeso il ciclo elettorale corto che caratterizza la politica di Nauru, mantenendo la durata ordinaria a tre anni e preservando la possibilità di tornare spesso alle urne.

Questo dato va letto nell’ambito della peculiare struttura istituzionale del Paese. Nauru, micro-Stato del Pacifico con una popolazione di circa dodicimila abitanti, elegge i suoi diciannove deputati in otto collegi plurinominali attraverso un sistema di voto preferenziale noto come sistema Dowdall. In tale sistema, gli elettori non scelgono un solo candidato, ma li ordinano per preferenza, e a ciascuna preferenza viene attribuito un valore frazionale decrescente (1 punto alla prima preferenza, 1/2 alla seconda, 1/3 alla terza e così via). I candidati con il punteggio complessivo più alto nei singoli collegi vincono i seggi. Inoltre, non esistono partiti politici formalizzati, per cui tutti i candidati corrono come indipendenti e le maggioranze si formano dopo il voto, spesso sulla base di alleanze personali e di fedeltà locali. Il fatto che gli elettori abbiano respinto l’allungamento del mandato parlamentare, dunque, dice molto sul rapporto tra società e classe dirigente: il popolo di Nauru vuole che chi governa rimanga sotto pressione costante e che il voto resti uno strumento rapido di correzione politica.

Questa esigenza di legittimazione continua emerge chiaramente anche nel modo in cui Adeang ha costruito la propria immagine pubblica nei giorni successivi alla sua rielezione. Durante le celebrazioni del 93º Angam Day (Giorno della Rinascita), il 28 ottobre, e dell’ottantesimo anniversario del ritorno dall’esilio forzato a Chuuk degli abitanti deportati durante la Seconda guerra mondiale, Adeang ha parlato apertamente di identità nazionale, sopravvivenza collettiva e responsabilità verso le generazioni future. Davanti al monumento ai caduti di Aiwo, il presidente ha descritto l’Angam come il momento in cui Nauru, due volte nel Novecento, è risorta dal rischio di estinzione demografica e culturale. Nella sua narrazione, il popolo nauruano non è soltanto una comunità politica ma una comunità sopravvissuta, che porta ancora le cicatrici dell’epidemia d’influenza degli anni Venti e dell’occupazione bellica che provocò la deportazione di parte della popolazione a Chuuk, due episodi che rischiarono di porre fine all’esistenza stessa del popolo nauruano. Presentando al Paese gli ultimi sopravvissuti all’esilio di guerra e definendo i bambini di oggi “il cuore e la speranza di Nauru”, Adeang si è offerto come garante morale della continuità nazionale, promettendo di proteggere l’identità di Nauru, educare le nuove generazioni e assicurare che la storia di resistenza continui.

Questa costruzione di legittimità interna arriva in un momento in cui il capo dello Stato sta cercando di muoversi fra due poli esterni che, per Nauru, sono vitali, la Cina e l’Australia. Dopo anni di oscillazioni diplomatiche, Nauru ha stabilito relazioni ufficiali a livello di ambasciata con la Repubblica Popolare Cinese nel gennaio 2024, firmando a Pechino un comunicato congiunto e riconoscendo la politica di “una sola Cina”, cioè la posizione secondo cui Taiwan fa parte della Cina. Pechino ha interpretato questo evento come una vittoria strategica nel Pacifico insulare, un’area in cui la competizione geopolitica è in rapido aumento. Nei mesi successivi al ristabilimento dei rapporti, Adeang ha coltivato un rapporto personale con la leadership cinese, presentandosi non solo come partner politico ma anche come figura con radici familiari cinesi. Nel luglio 2025, in visita nella provincia del Guangdong con la famiglia, il presidente ha compiuto un pellegrinaggio genealogico a Jiangmen e nella località di Chikan, dove le autorità cinesi hanno confermato che il suo bisnonno materno proveniva da quel territorio e che la sua famiglia emigrò più di un secolo fa prima di stabilirsi definitivamente a Nauru. Durante quel viaggio, Adeang ha ringraziato pubblicamente Xi Jinping per aver reso possibile la ricostruzione dei legami familiari e ha definito questa parentela un “ponte solido” tra i due Paesi. La scena è stata presentata dai media cinesi e locali come qualcosa di più di una visita protocollare: un ritorno alle radici che trasforma la relazione Cina–Nauru in una storia di famiglia, e dunque in una relazione che va oltre il puro calcolo strategico.

Il capitale politico costruito in questa direzione è stato immediatamente riconosciuto. Il 17 ottobre 2025, a pochi giorni dalla sua rielezione parlamentare come presidente di Nauru, Xi Jinping ha inviato un messaggio ufficiale di congratulazioni ad Adeang, sottolineando che, dalla ripresa delle relazioni diplomatiche, i rapporti bilaterali hanno conosciuto progressi significativi e che la cooperazione in diversi campi ha già prodotto benefici tangibili per le popolazioni dei due Paesi. Xi ha espresso il proprio apprezzamento per l’adesione del governo Adeang al principio di “una sola Cina” e ha dichiarato di voler “elevare continuamente” la relazione Cina–Nauru a nuovi livelli, offrendo implicitamente sostegno economico e politico a un partner ritenuto affidabile. Questa è una forma di garanzia esterna che pochi leader di micro-Stati possono vantare in modo così esplicito.

Dall’altro lato c’è l’Australia, che per decenni è stata il principale garante economico e di sicurezza di Nauru e che continua a considerare l’isola parte della propria architettura strategica nel Pacifico centrale. Negli ultimi anni, la relazione si è intensificata sul piano securitario e migratorio. Canberra ha firmato con Nauru un accordo che, in sostanza, dà all’Australia un ruolo di controllo sulle future intese internazionali di Nauru in settori sensibili come sicurezza, banche e telecomunicazioni, in cambio di finanziamenti e supporto pluriennale per la sicurezza interna e le infrastrutture, oltre all’impegno australiano a garantire servizi bancari e altre funzioni critiche che l’economia nauruana fatica a sostenere da sola. Questa intesa è stata descritta come un modo per impedire che la Cina ottenga un punto d’appoggio di sicurezza formale sull’isola, e si inserisce nello sforzo australiano di frenare la proiezione cinese nel Pacifico dopo anni in cui Pechino ha ampliato la propria presenza dalla Melanesia alla Micronesia.

Allo stesso tempo, Nauru rimane parte integrante dell’architettura australiana di gestione di migranti e richiedenti asilo considerati “difficili” da collocare nel territorio australiano. Dopo le decisioni dei tribunali australiani che hanno reso illegale la detenzione a tempo indeterminato di stranieri senza prospettive di espulsione, il governo di Canberra ha negoziato con Adeang la possibilità di trasferire a Nauru persone considerate ad alto rischio o con precedenti penali, concedendo loro visti di lungo periodo sull’isola. Il governo australiano ha collegato questa politica a un pacchetto finanziario di grande entità e durata pluridecennale, e già nel 2025 i primi soggetti sono stati inviati a Nauru nell’ambito di un accordo che, secondo stime della stampa australiana, vale miliardi di dollari lungo il suo arco temporale. Adeang ha difeso pubblicamente queste intese, sostenendo che le persone trasferite in Nauru “hanno scontato la loro pena” e meritano la possibilità di costruire una vita normale. Per Canberra, questo meccanismo è anche un modo per prolungare, sotto nuove forme giuridiche, l’uso di Nauru come piattaforma esterna per la gestione di casi migratori e di sicurezza interna, evitando controversie costituzionali sul suolo australiano.

Adeang, dunque, governa in un equilibrio che pochi leader insulari riescono a mantenere. Da un lato cerca e ottiene investimenti, riconoscimento politico e legami personali con Pechino, al punto da inserire la propria biografia familiare nella narrazione diplomatica e presentare la Cina non soltanto come partner economico, ma come comunità di origine. Dall’altro lato, mantiene e approfondisce il rapporto strutturale con l’Australia, che offre garanzie finanziarie e di sicurezza, ma pretende in cambio un diritto di veto sostanziale sulla capacità di Nauru di firmare accordi con altri attori, Cina inclusa, nei settori più sensibili. Questo doppio vincolo mostra perché la vittoria parlamentare dell’11 ottobre e la rielezione senza opposizione del 14 ottobre sono importanti: Adeang non ha solo conservato la carica, ha consolidato la sua posizione come nodo di intersezione tra due potenze in competizione nel Pacifico. In un sistema politico senza partiti, in cui il presidente può cadere se perde la maggioranza di appena dieci voti su diciannove, questa centralità personale è essenziale per mantenere la continuità degli accordi esterni.

Allo stesso tempo, il rifiuto popolare di allungare il mandato parlamentare da tre a quattro anni significa che questa continuità non è blindata. Il Parlamento di Nauru resta soggetto a elezioni ravvicinate e può essere sciolto in anticipo. Adeang, quindi, deve dimostrare costantemente ai suoi concittadini che la sua gestione dei rapporti con Cina e Australia non sta svendendo l’indipendenza del Paese, ma la sta cementando. È qui che il messaggio interno dell’Angam Day e la narrativa della sopravvivenza collettiva entrano in risonanza con la diplomazia: proteggere i figli di Nauru, garantire la stabilità economica, evitare che il Paese venga schiacciato tra potenze più grandi, raccontare la relazione con la Cina come un legame di sangue e quella con l’Australia come una partnership necessaria ma negoziata. Questa è la piattaforma politica con cui David Adeang apre il suo nuovo mandato.

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