La diplomazia mineraria del Pakistan

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di Farhat Asif

La traiettoria delle relazioni tra Pakistan e Stati Uniti ha spesso oscillato tra cooperazione e scontro. Eppure, questa attuale fase di rinnovamento è diversa, non nasce dalla cooperazione in materia di sicurezza, ma dalle emergenti opportunità economiche.

Washington ora percepisce Islamabad non solo come un alleato geopolitico, ma come un potenziale partner economico. Nel 2025, il Pakistan si è riposizionato come un polo emergente di terre rare e minerali essenziali.

Le fasce ricche di risorse del Gilgit-Baltistan, del Belucistan e del Khyber Pakhtunkhwa, ricche di litio, rame, nichel e cromite, hanno attirato l’attenzione degli investitori statunitensi e occidentali. Oltre a queste regioni, anche le riserve energetiche e le prospettive minerarie offshore nel Sindh, nel Punjab e nelle acque costiere del Pakistan hanno iniziato a rientrare nei calcoli strategici americani.

Per gli Stati Uniti che cercano di ridurre la propria dipendenza dalla Cina nella catena di approvvigionamento delle terre rare, il potenziale del Pakistan è tempestivo. Un memorandum d’intesa da 500 milioni di dollari è già stato firmato con U.S. Strategic Metals, che prevede la creazione di impianti di raffinazione e lavorazione avanzati in Pakistan.

Questa iniziativa rappresenta un cambiamento pragmatico. Washington non sta costruendo un’alternativa alla Cina, ma piuttosto coltivando un partner parallelo e affidabile in uno spazio sempre più definito dalla sicurezza delle risorse e dalla competitività industriale.

L’evoluzione della politica estera del Pakistan, spesso interpretata erroneamente come una deriva da Pechino, è meglio intesa come una diversificazione delle partnership. Le relazioni sino-pakistane rimangono ancorate a una profondità strategica ed economica, con il CPEC che continua a fungere da quadro centrale, sebbene ora si stia spostando da un modello guidato dallo Stato a un modello business-to-business.

Islamabad non vede Washington come un sostituto di Pechino; cerca invece di sostenere la sua partnership in ogni condizione con la Cina, convincendo al contempo gli Stati Uniti della duratura rilevanza geopolitica ed economica del Pakistan.

Questa diplomazia equilibrata, che collega la cooperazione economica, di difesa ed energetica, si estende oltre Washington. Il Pakistan ha contemporaneamente approfondito il dialogo con Arabia Saudita, Turchia, Malesia e Iran, adottando un approccio multivettoriale per gestire le rivalità e promuovere la convergenza.

Un successo simbolico di questo equilibrio è emerso quando l’Iran ha approvato l’Accordo di Difesa Strategica tra Arabia Saudita e Pakistan, a dimostrazione della crescente capacità di Islamabad di conciliare gli interessi contrapposti nella regione. Parallelamente al CPEC 2.0, il Pakistan sta ora portando avanti progetti sostenuti dai Paesi del Golfo, come la raffineria di petrolio di Gwadar e nuovi corridoi energetici, delineando i contorni di un più ampio quadro di integrazione transregionale.

Gli Stati Uniti, da parte loro, stanno gradualmente ridefinendo il ruolo del Pakistan. Recenti rapporti internazionali suggeriscono che l’Amministrazione Trump non considera più Islamabad uno Stato cliente regionale, ma piuttosto un partner globale, in grado di collegare l’Asia meridionale e il Medio Oriente attraverso stabilità e connettività. In questa equazione emergente, la ricchezza mineraria del Pakistan, il capitale del Golfo e la tecnologia statunitense convergono per formare la base di un blocco economico non dichiarato, riconfigurando silenziosamente le alleanze regionali.

L’Accordo di Mutua Difesa Strategica (SMDA) tra Arabia Saudita e Pakistan, concluso nel marzo 2025, rappresenta una pietra miliare fondamentale. Sia l’Arabia Saudita che il Pakistan sono alleati degli Stati Uniti non appartenenti alla NATO, e la negoziazione simultanea di un accordo di difesa da parte di Riad con Washington sottolinea una nuova fiducia triangolare. Insieme, questi allineamenti segnano un passaggio dalla cooperazione transnazionale a un’interdipendenza stratificata, militare, tecnologica ed economica.

L’incontro tra il Primo Ministro Shehbaz Sharif e il Presidente Donald Trump a Sharm el-Sheikh è stato definito un “nuovo inizio” nei rapporti bilaterali. Nel frattempo, la doppia visita del Feldmaresciallo Asim Munir a Washington, seguita dal suo attuale tour in Egitto, indica un approfondimento del dialogo strategico. Alcuni rapporti suggeriscono che le discussioni includano un potenziale contributo pakistano a una forza di stabilizzazione di Gaza, una mossa che potrebbe consolidare ulteriormente la posizione di Islamabad come potenza stabilizzatrice in Medio Oriente.

Oltre alla sicurezza, la dimensione economica di questa partnership sta diventando sempre più marcata. La cooperazione nei settori dei minerali essenziali, dell’energia pulita, delle tecnologie digitali e della criptofinanza riflette un riorientamento strutturale negli impegni esterni del Pakistan. Gli Stati Uniti, cercando di compensare il predominio della Cina nel settore delle terre rare, hanno ora riconosciuto il Pakistan come un partner credibile in questo settore.

Geograficamente, il Pakistan si trova all’incrocio tra Asia meridionale, Asia centrale e Medio Oriente, un ponte naturale che collega tre importanti sottoregioni. Questa geografia spiega l’impennata degli investimenti sauditi e il costante interesse del Golfo per i settori infrastrutturale, energetico e minerario del Pakistan. La prossima visita di tre giorni del Primo Ministro Shehbaz Sharif in Arabia Saudita, il 27 novembre, si concentrerà sull’espansione della cooperazione in materia di investimenti e sulla partecipazione alla Conferenza sugli Investimenti del Regno.

Con l’evolversi degli allineamenti regionali, si delinea un modello più ampio: una coalizione emergente, guidata meno dall’ideologia e più dalla logica economica. Il coordinamento antiterrorismo, la diplomazia mineraria e la cooperazione energetica si stanno fondendo in un quadro pragmatico di sicurezza collettiva e prosperità condivisa.

Islamabad ha proposto a Washington lo sviluppo di un porto minerario di Pasni nel distretto di Gwadar, una città portuale costruita nell’ambito dell’iniziativa CPEC cinese ma ora concepita come un hub commerciale parallelo per diversificati stakeholder. Il Pakistan ha anche mantenuto il progetto Reko Diq fuori dal controllo cinese, a dimostrazione di un’apertura strategica alla partecipazione occidentale. Questi gesti, compiuti in un momento in cui la fiducia di Washington nell’India sta visibilmente diminuendo, hanno un peso diplomatico.

Le recenti battute d’arresto dell’India, tra cui il suo sbilanciamento militare, palesato in brevi schermaglie di confine, e la sua resistenza alle pressioni statunitensi sulle importazioni di petrolio russo, hanno eroso la sua affidabilità come ancora di Washington nell’Asia meridionale. Di conseguenza, gli Stati Uniti ora percepiscono il pragmatismo geoeconomico del Pakistan come una forza stabilizzatrice in una regione frammentata.

Dai minerali alla diplomazia, la nuova posizione strategica del Pakistan non è né reattiva né dipendente. È calibrata, multidirezionale e fondata sulla consapevolezza che la resilienza economica, non l’allineamento, definisce la potenza del XXI secolo.

In questa silenziosa trasformazione, il Pakistan non solo sta riscoprendo la sua rilevanza globale, ma sta anche contribuendo a plasmare l’architettura di un nuovo blocco economico, nato da risorse, fiducia e dalla ricerca condivisa della stabilità.

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