Di Giacomo Fontanari
Recentemente il Financial Times ha pubblicato un articolo in cui viene fatta una disamina della situazione sull’internazionalizzazione del renminbi e sull’uso sempre più frequente della valuta cinese nel commercio e nelle transazioni globali.
È ormai da anni che si legge nel dibattito economico cinese della volontà di rendere il renminbi una valuta più internazionale, c’era chi proponeva di creare una grande mezzaluna attorno alla Cina in cui far circolare una sorta di renminbi di serie B rispetto al renminbi vero e proprio presente in Cina e chi ne proponeva invece una liberalizzazione completa.
Ciò a cui stiamo assistendo è un’internazionalizzazione di fatto grazie alla quale il renminbi, sotto varie forme, circola all’estero e diviene così a tutti gli effetti una delle valute di riferimento nel commercio globale.
L’articolo mette in evidenza fin da subito alcuni dati fondamentali per la comprensione della grandezza del fenomeno: i prestiti, i depositi e gli investimenti obbligazionari esteri in renminbi delle banche cinesi sono quadruplicati a oltre 3.400 miliardi di yuan (480 miliardi di dollari) negli ultimi cinque anni; le attività a reddito fisso estere sono più che raddoppiate nell’ultimo decennio a più di 1.500 miliardi di dollari, con la quota denominata in renminbi in rapida espansione a quasi 484 miliardi alla fine di giugno. Ciò include 360 miliardi di prestiti e depositi in yuan, rispetto a 110 miliardi nel 2020. La BIS stima inoltre che i prestiti bancari denominati in renminbi verso paesi in via di sviluppo siano cresciuti di 373 miliardi di dollari negli ultimi 4 anni.
Alcuni Paesi africani quali Kenya, Angola ed Etiopia hanno poi convertito alcuni debiti denominati in dollari in renminbi con l’obiettivo di pagare meno interessi vista l’enorme massa di liquidità presente in Cina.
Non vengono menzionati solo Paesi in via di sviluppo, la Slovenia sembra voglia fare da apripista in UE per l’emissione strutturale di debito in renminbi.
Trattando la questione meramente finanziaria si è registrato un incremento nelle transazioni con il sistema cinese CIPS, nello specifico le transazioni transfrontaliere hanno raggiunto i 45.940 miliardi di yuan nel secondo trimestre del 2025. Nel sistema Swift il renminbi si è attestato al secondo posto dopo il dollaro nei servizi finanziari per il commercio globale con una fetta del 7,6% sul totale delle transazioni. É da notare come invece le transazioni totali del renminbi nei sistemi Swift siano in calo, per ovvie ragioni c’è stata e continua ad esserci un’evidente migrazione dallo Swift al CIPS.
La dedollarizzazione avanza quindi inesorabilmente e l’ordine multipolare, quindi multivalutario, è l’opzione imposta dall’evidente instabilità del dollaro. La necessità storica della creazione di un sistema multivalutario per il commercio globale è più evidente che mai. Proprio negli ultimi giorni Washington ha sanzionato le società russe Lukoil e Rosneft, se sanzioni di questa portata fossero state implementate 10 o 15 anni fa i danni probabilmente sarebbero stati catastrofici, oggi invece esistono parecchie modalità con cui effettuare scambi commerciali con i Paesi sanzionati, dai sistemi di pagamento alternativi (stablecoin come A7A5 o sistemi alternativi allo Swift) alle “triangolazioni interne” alle società statali presenti in più Paesi come ad esempio fa la Russia per la compravendita del petrolio con il Vietnam e come fa quest’ultimo per l’acquisto di equipaggiamenti militari russi.
La Cina, vedendo l’incrementale militarizzazione del dollaro usata contro la Russia e di riflesso anche contro sé stessa, sta quindi aumentando l’uso della propria valuta per il commercio internazionale; i dati doganali cinesi indicano che già il 30% del commercio totale cinese e oltre la metà delle transazioni internazionali legate al commercio vengono regolamentati in renminbi, un dato rilevante essendo la Cina il principale produttore manifatturiero al mondo.
La parte finale dell’articolo definisce poi i meccanismi di apertura della Cina continentale nei confronti del suo hub finanziario hongkonghese (ne avevo già parlato nel precedente articolo), nello specifico la volontà è quella di creare una valvola di sfogo per fare fluire in maniera ordinata la liquidità in eccesso del continente verso Hong Kong, quindi con investimenti nel mercato dei titoli a reddito fisso in modo tale da collegare la liquidità in renminbi con gli emittenti esteri di titoli denominati in renminbi.
Ciò che si sta realizzando è dunque l’internazionalizzazione di fatto del renminbi senza fare venire meno il controllo sui movimenti di capitali, leva essenziale per mantenere lo status di economia trainata dagli investimenti; infine vorrei evidenziare l’importanza di tale misura per quanto riguarda l’assetto economico cinese. Grazie alla sopracitata uscita controllata di capitali è possibile un allentamento nell’effetto di compressione dei rendimenti degli investimenti, ovvero questi ultimi non subiscono più pressioni al ribasso rischiando quindi, in prospettiva, di andare in negativo. Possono quindi stabilizzarsi su livelli più sostenibili, in modo tale da controbilanciare il rischio di investimento.








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