Da Associazione Culturale Russia-Emilia Romagna
La Conferenza Internazionale tenutasi a Sofia il 13-14 ottobre 2025, promossa dalla Fondazione “Slavyani” e dal suo Presidente Prof. Zahari Zahariev, ha garantito la partecipazione di personalità provenienti sia dalla Bulgaria che da altre parti del mondo.

Una conferenza che ha visto i partecipanti confrontarsi sulle principali sfide geopolitiche (e non solo) sia del ‘900 che dei giorni nostri.
Anche l’Italia è stata presente, grazie all’invito rivolto all’Associazione di Amicizia Emilia Romagna – Russia e alla partecipazione del membro del Centro Studi Eurasia e Mediterraneo Alessandro Fanetti.
Un confronto utile e proficuo per cercare di comprendere sempre meglio le questioni geopolitiche più urgenti, nonché provare a trovare soluzioni sostenibili e vantaggiose per i vari popoli che abitano il nostro pianeta.
È con questo spirito positivo e dialogante che dunque sono stati toccati, fra gli altri, punti decisivi del panorama geopolitico globale attuale:
– lo scontro unipolarismo – multipolarismo in atto nel terzo millennio
– I rischi globali dovuti alle persistenti tensioni internazionali
– l’esempio di Yalta per trovare soluzioni, anche se all’apparenza considerate “impensabili”, fra le Grandi Potenze
– la necessità di un dialogo positivo, leale e costruttivo
– la necessità di imparare le lezioni del passato, anche quelle negative, per non sbagliare nel presente e nel futuro.
Gli atti completi del Convegno saranno pubblicati integralmente sul sito della “Slavyani Foundation” nel prossimo futuro:

L’intervento di Alessandro Fanetti:
Unipolarismo contro multipolarismo: la sfida geopolitica decisiva del terzo millennio
È evidente che stiamo assistendo ad una trasformazione di proporzioni storiche.
Un cambiamento che non riguarda solo le alleanze tra Stati o la crescita economica di alcune Potenze, ma che tocca le fondamenta stesse dell’ordine mondiale e, quindi, la vita di ciascuno di noi.
Oggi ci troviamo di fronte a una sfida fondamentale: unipolarismo contro multipolarismo.
Questi rappresentano due visioni del mondo fondamentalmente opposte, due approcci contrastanti alle relazioni internazionali e due modelli incompatibili di governance globale. Se esaminiamo il corso della storia umana, diventa evidente che la geopolitica è sempre stata modellata dall’esistenza di centri di potere. Poli incarnati da grandi civiltà, capaci di dirigere dinamiche regionali e perfino globali.
Solo per citarne alcuni: l’Impero Romano, l’Impero Ottomano, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica. Poli che hanno lasciato un segno indelebile nella storia e, per molti aspetti, hanno plasmato la nostra comprensione e interpretazione collettiva del mondo (soprattutto dal punto di vista geopolitico).
Questi centri di potere hanno infine dato origine ai tre modelli geopolitici che rimangono oggetto di ampio dibattito fino ad oggi:
Bipolarismo: il paradigma emerso durante la Guerra Fredda, caratterizzata dalla rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Unipolarismo: che ha preso forma in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, guidato dagli Stati Uniti e attuato attraverso il suo braccio militare, la NATO.
Multipolarismo: il paradigma emergente che sfida sempre più l’egemonia dell’unipolarismo.
Ora, credo sia doveroso e doveroso sottolineare quanto segue: oggi ci stiamo allontanando sempre più e consapevolmente, anche all’interno di ampi segmenti dell’opinione pubblica occidentale (nonostante il persistente “rullo di tamburi” di una certa narrativa mainstream sulla geopolitica globale) da quella che può, in sostanza, essere descritta come “l’illusione dell’unipolarità”.
Dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’URSS, l’Occidente, sotto la guida degli Stati Uniti,
arrivò a credere (o cercò di convincere il pubblico più ampio) che fosse iniziata una nuova era di dominio incontrastato.
Questa era la nozione notoriamente racchiusa nella “fine della storia” di Fukuyama (essenzialmente, l’idea del trionfo definitivo del liberalismo e del capitalismo). Un mondo unipolare, quindi, in cui Washington assumerebbe il ruolo di “poliziotto globale” (aggirando spesso le istituzioni internazionali e le “regole del gioco” stabilite, che, in un certo senso paradossalmente, sono ora abitualmente invocate da gran parte dell’élite occidentale). Tuttavia, questo modello ha presto rivelato i suoi limiti intrinseci (in particolare per quanto riguarda la stabilità globale e il benessere dei popoli del mondo). A questo proposito, le guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, insieme alle sanzioni unilaterali e alle ripetute violazioni del diritto internazionale, gradualmente esposto alla comunità globale ciò che questo modello realmente comportava per il resto del mondo. Le Nazioni Unite, che in teoria avrebbero dovuto fungere da massimo e ultimo garante della pace, sono state di fatto ridotte a un forum di dialogo (privo di reale influenza o efficacia).
Così, quando l’unipolarismo ha iniziato a rivelare tutti i suoi limiti nel mantenere la promessa di un cosiddetto “paradiso liberale”, un crescente movimento globale a favore del multipolarismo ha iniziato a guadagnare terreno. Questo movimento è stato guidato da varie potenze globali e regionali (in primis Russia e Cina) e sostenuto da un gran numero di paesi del “Sud del mondo”. Si tratta di un movimento che si è sviluppato in diverse parti del mondo secondo modalità adattate ai contesti e ai bisogni locali (si consideri, ad esempio, la nuova ondata di decolonizzazione in Africa, in particolare all’interno del “triangolo” Mali, Burkina Faso e Niger). Allo stesso tempo, questo movimento sta costruendo una rete globale volta a stabilire un ordine internazionale più giusto, equilibrato e rappresentativo.
È proprio in questo contesto, e nel perseguimento di questa visione, che sono emerse istituzioni alternative; istituzioni che scuotono le “fondamenta geopolitiche dell’unipolarità”:
• L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO).
• BRICS+, ora un attore centrale nel plasmare l’ordine geopolitico.
• ALBA – TCP e CELAC in America Latina e Caraibi.
• L’Alleanza degli Stati del Sahel in Africa (AES)
.
Queste strutture non sono (né aspirano ad essere) semplici alleanze o forum di discussione tra Stati. Sono piuttosto strumenti di integrazione regionale ed espressioni della sovranità politica ed economica delle nazioni. Si tratta di un tentativo deliberato di costruire un mondo multipolare che, una volta pienamente realizzato, sarebbe costituito da poli di civiltà distinti: Russia, Cina, India, Nord America, mondo islamico, Africa, America Latina. E anche un’Europa emancipata dall’ingerenza degli Stati Uniti.
Il più importante teorico e sostenitore di questa visione del mondo multipolare è Aleksandr Dugin, che definisce la geopolitica come una vera “scienza delle civiltà” (radicata, soprattutto, nel riconoscimento della diversità culturale come valore, piuttosto che come ostacolo, come spesso rappresentato dalla prospettiva liberale-capitalista). Il nucleo di questa analisi e proposta è quindi il superamento dell’eurocentrismo come modello universalmente applicabile e, invece, il riconoscimento di ciascuna civiltà come legittima protagonista del proprio percorso storico. L’obiettivo è promuovere relazioni vincenti tra tutti gli attori globali. Il Terzo Millennio si è dunque aperto con una crescente contestazione dello status quo unipolare. Oggi, assistiamo sempre più a un confronto chiaro tra coloro che cercano di preservare l’ordine unipolare (il cosiddetto “Occidente politico” o “Nord globale”) e coloro che sostengono una pluralità di poli, ciascuno radicato nella propria storia, cultura e modello di sviluppo.
A questo proposito, il multipolarismo non dovrebbe quindi essere visto semplicemente come un’alternativa. Piuttosto, rappresenta un progetto più ampio di emancipazione globale; la possibilità per le nazioni di scegliere la propria strada, di non essere più vincolate da modelli imposti dall’esterno e di stabilire relazioni internazionali veramente paritarie e sovrane.
Proprio come le Conferenze di Yalta e Potsdam hanno contribuito a rimodellare il mondo all’indomani degli orrori scatenati dal nazi-fascismo e dalla Seconda Guerra Mondiale, oggi sembra di trovarci nel mezzo di un frangente altrettanto rivoluzionario (un momento di profonda trasformazione epocale).
Questi cambiamenti, credo sia opportuno e doveroso sottolineare che senza un accordo tra le maggiori potenze non si può procedere; in particolare gli stati più grandi e dotati di armi nucleari, tra cui è inclusa la Federazione Russa (anche se alcuni potrebbero preferire trascurare questo fatto).
Proprio come l’URSS ha pagato un enorme tributo “materiale e immateriale” durante la Grande Guerra Patriottica (soprattutto in termini di sangue, con oltre 20 milioni di martiri), è indiscutibile che la popolazione plasmata da quella storia (sia all’interno che all’esterno dei suoi confini) non si tirerà mai indietro qualora la situazione inevitabilmente peggiorasse.
Purtroppo, mentre ci sono grandi e positive aspettative popolari per un significativo “cambiamento globale”, esiste anche un segmento dell’élite globale disposto a fare tutto il possibile per sopprimere le aspirazioni di gran parte del mondo. La fase che stiamo vivendo è quindi carica di pericoli,
segnato da crescenti tensioni e dal moltiplicarsi dei focolai di conflitto.
Per prendere in prestito le parole del grande pensatore italiano Antonio Gramsci:
“Il vecchio mondo sta morendo, il nuovo tarda ad apparire. E in questo contrasto tra luce e oscurità nascono i mostri”.
Credo quindi che sia proprio in momenti storici come questi (durante questi “momenti di svolta geopolitica”) che è maggiore il bisogno di voci che non dimentichino il passato, agiscano con decisione nel presente e aspirino a un futuro migliore. Veri rivoluzionari che, per parafrasare Fidel Castro,
possedere “una consapevolezza del momento storico (e sforzarsi di cambiare) tutto ciò che deve essere cambiato”.
Oggi appare chiaro che questa rivoluzione “materiale e immateriale” passa attraverso la proposta e l’impegno per la costruzione di un mondo multipolare. Un mondo che dovrebbe essere meno ingiusto, più aperto al dialogo e al rispetto.
Una cooperazione basata sulla “cooperazione win-win”, sia all’interno dei vari poli geopolitici che tra di essi.












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