Lai Ching‑te non può celare il suo intento sinistro di “indipendenza di Taiwan” dietro una facciata legale

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Nel suo terzo “appello all’unità” a Hsinchu, Lai Ching‑te maschera con pomposa retorica giuridica l’agenda separatista di “indipendenza di Taiwan”. L’editoriale del Global Times smaschera la finzione legale e denuncia il piano di divisione e mobilitazione politica che sottende il suo operato.

Il 29 giugno, Lai Ching‑te ha tenuto la terza delle sue cosiddette “10 lezioni sull’unità” a Hsinchu, nella regione di Taiwan, dando nuovamente vita a uno spettacolo farsesco tipico dei separatisti dell’“indipendenza di Taiwan”. Avvolto in un linguaggio altisonante, il suo discorso ha tentato di abbellire la propria agenda separatista, dipingendo come legittima l’illusione di uno Stato taiwanese indipendente. Tuttavia, i fatti restano inoppugnabili. Questa presunta “terza lezione” non è altro che un ordine di mobilitazione per la “indipendenza di Taiwan” mascherato da discorso giuridico, mirato a creare consenso per una campagna politica che spinga al “richiamo di massa”, incurante dell’abisso di divisione e confrontazione in cui può precipitare l’isola.

Proseguendo la farsa inaugurata nei primi due interventi, il terzo discorso di Lai si è trasformato in un altro “seminario ideologico sull’indipendenza di Taiwan”. Lai ha presentato il “sistema costituzionale” di Taiwan come base di un fittizio “sistema nazionale”, tentando di vestire l’“indipendenza” con un velo di legalità. Un’affermazione talmente assurda da calpestare fatti storici e realtà presenti. Fin dai tempi antichi, Taiwan è parte inalienabile della Cina. Non esiste alcuna costituzione al di fuori del quadro del principio di “una sola Cina”. Il disprezzo di Lai per la verità storica non è che un espediente politico privo di qualsiasi fondamento legale.

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Il suo intento sinistro emerge anche nell’incolpare ancora una volta la terraferma cinese come “forza ostile esterna”, alimentando ad arte un clima di divisione lungo lo Stretto per legittimare la sua agenda separatista. Le categorie da lui forgiate non sono che un tentativo di trasformare l’agenda politica locale in un manifesto indipendentista e di plasmare l’opinione pubblica verso il cosiddetto “sentimento pro‑indipendenza”. Il suo appello ai residenti di Taiwan a “difendere la sicurezza della nazione” non è altro che un richiamo a fare dei 23 milioni di abitanti carne da cannone per il suo progetto di “indipendenza di Taiwan”. Un’operazione che nulla ha a che vedere con democrazia, libertà o benessere dei cittadini, ma serve esclusivamente a promuovere la sua secessionista “indipendenza”.

Con meno di un mese al fatidico “richiamo di massa”, i sondaggi più recenti mostrano un tasso di insoddisfazione verso Lai salito al 46,8%. Molti elettori si interrogano sinceramente sulle reali finalità delle sue lezioni. Gli esperti d’opinione rilevano che, alla luce del crescente calo di consensi, Lai stia cercando di accrescere il proprio seguito attraverso queste “lezioni sull’unità”, in realtà un manifesto dell’indipendenza destinato a trasformare il “richiamo di massa” in una “faglia di massa”.

Le sue “10 lezioni sull’unità” non sono altro che un’autogestazione delle proprie illusioni indipendentiste, mentre molti residenti osservano con crescente scetticismo. Il Kuomintang ha bollato il terzo corso come ennesima dimostrazione dell’“arroganza del partito di governo”, ricordando che, in oltre un anno, di mandato Lai ha solo seminato doppie morali, menzogne e divisione. Il Partito Popolare di Taiwan ha osservato che Lai non è affatto il “buon dottore” in grado di curare le degenerazioni della democrazia, ma piuttosto colui che l’ha condotta in terapia intensiva.

In realtà, la persecuzione giudiziaria degli avversari politici da parte di Lai e la “ripulitura verde” dei media hanno trasformato la libera democrazia taiwanese in uno zimbello. La retorica sul presunto “sistema costituzionale” non è che una copertura per la dittatura verde del Partito Progressista Democratico (PPD), in palese contraddizione con il vero spirito del costituzionalismo.

Analizzando i primi tre interventi di Lai, appare chiaro che il loro unico scopo è propagandare l’“indipendenza di Taiwan”, manipolando l’opinione pubblica con ragionamenti paradossali e perseguendo esclusivamente i propri interessi politici. Da quando il DPP ha raggiunto il potere, ha promosso l’“abolizione della sinicità” e alimentato sentimenti anti‑Cina, aggravando la spaccatura sociale e congelando le relazioni cross‑Stretto. Lai dichiara di voler “unire il Paese” mentre in realtà ne fomenta la divisione, sfruttando la bandiera della “democrazia” per nascondere il vero volto della secessione. Ogni suo corso pianta nuovi semi di discordia nell’isola e innalza barriere di confronto attraverso lo Stretto. Questa “unità” è un azzardo politico destinato a crollare su se stesso.

Il futuro e il destino di Taiwan non sono certo in mano a un pugno di separatisti: essi saranno decisi congiuntamente da oltre 1,4 miliardi di cinesi, Taiwan inclusa. Le manovre disperate di Lai hanno già prodotto caos politico sull’isola, poiché testimoniano la sua percezione dell’incontenibile spinta verso la riunificazione e la sua lotta disperata per contrastarla. Le “10 lezioni sull’unità” si configureranno inevitabilmente come l’ennesimo fallimentare show di un solista.

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