Per un latinoamerica unito, indipendente e sovrano: intervista all’analista geopolitico argentino Sebastián Schulz

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a cura di Alessandro Fanetti

Sebastián Schulz è un analista geopolitico argentino, attualmente membro del “Centro Studi in Politica ed Economia” (CIEPE) e del Gruppo di lavoro “Geopolitica, Integrazione Regionale e Sistema Mondiale” presso la CLACSO. 

Il filosofo russo Dugin, analizzando il multipolarismo, ha sottolineato che uno dei poli del “mondo futuro” dovrebbe essere quello latinoamericano e caraibico. A che punto siamo nella costruzione di un’America Latina e dei Caraibi uniti, indipendenti e sovrani?

Sebastián Schulz è un analista geopolitico argentino, attualmente membro del “Centro Studi in Politica ed Economia” (CIEPE) e del Gruppo di lavoro “Geopolitica, Integrazione Regionale e Sistema Mondiale” presso la CLACSO. 

I governi nazional – popolari dell’America Latina e dei Caraibi hanno compiuto sforzi significativi per dotare la regione di capacità materiali e simboliche che le permettano di consolidare il suo potere sulla scena mondiale. In un contesto in cui i regionalismi si affermano come condizione minima per partecipare attivamente al mondo multipolare emergente, questi sforzi sono strategici.
La Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) rappresenta un’esperienza chiave in questo processo, costituendosi come uno spazio politico di concertazione e coordinamento regionale di fronte a uno scenario internazionale segnato dall’instabilità economica, tensioni geopolitiche e declino dell’ordine unipolare.
Inoltre, diversi paesi della regione hanno promosso una crescente articolazione delle relazioni con nuovi poli emergenti come Cina, Russia e BRICS, alla ricerca di alternative alla dipendenza storica dagli Stati Uniti e dall’Europa. In un contesto dominato dalla globalizzazione finanziaria neoliberale e dall’irruzione di attori transnazionali che erodono la sovranità statale, la cooperazione tra le nazioni del Sud globale assume un carattere strategico per lo sviluppo di progetti veramente sovrani e autonomi.
Tuttavia, il fatto che l’America Latina e i Caraibi continuino ad essere considerati dagli Stati Uniti come la loro zona di influenza privilegiata conspira contro il consolidamento delle strategie di integrazione sovrana. La pressione politica, economica e militare esercitata da Washington sulla regione (in nome della Dottrina Monroe) costituisce uno dei principali ostacoli al rafforzamento di un polo latinoamericano-caraibico nel nuovo ordine multipolare.

È ben nota la volontà del Venezuela Bolivariano di entrare nei BRICS+ e la sua impossibilità a causa dell’opposizione del Brasile. A mio parere, questa è una delle tante dimostrazioni delle divisioni che ancora persistono nella regione (anche tra governi “ideologicamente affini”) e che rallentano il processo di unità, sovranità e sviluppo congiunti (anche in forum più ampi come la CELAC). Cosa ne pensi di tutto questo?

I processi di emancipazione e transizione verso un ordine mondiale multipolare non sono lineari né esenti da contraddizioni. Pretendere il contrario sarebbe cadere in uno sguardo idealizzato che non riconosce le tensioni proprie di uno scenario geopolitico in disputa. Per questo è fondamentale distinguere tra contraddizioni principali e secondarie, per non riprodurre la logica divisionista che favorisce le potenze dominanti del sistema internazionale.
L’ingresso del Venezuela nei BRICS è strategico, così come lo è il fatto che il Brasile sia governato da un progetto progressista, anche se quest’ultimo mantiene alleanze tattiche con settori globalisti che cercano di contenere l’avanzata delle destre neoconservatrici. Queste alleanze, per quanto scomode, fanno parte di una fase di transizione in cui le correlazioni di forza non permettono ancora una rottura completa con l’ordine egemonico.
In questo contesto, la sfida principale è far sì che i progetti nazionali e popolari possano consolidarsi in paesi come Argentina, Cile o Perù, mentre i governi progressisti del Brasile e della Colombia approfondiscono il loro impegno per l’integrazione regionale. Solo così sarà possibile avanzare verso una seconda e definitiva indipendenza dagli Stati Uniti e dal Nord Globale, e costruire un vero polo latinoamericano e caraibico all’interno del nuovo ordine multipolare.

America Latina – Caraibi è una “regione geopolitica” strategica verso la quale guardano le grandi potenze globali (ma anche quelle più “regionali”, come l’Iran). A questo proposito, basti pensare alla Dottrina Monroe voluta dagli Stati Uniti e che quest’anno compie 202 anni. Quanto è ancora forte il dominio di Washington nella regione e quanto è forte la penetrazione delle altre potenze, principalmente Russia e Cina?

L’America Latina e i Caraibi occupano un posto centrale nella strategia degli Stati Uniti, sia per i neoconservatori che per i globalisti. Per entrambi, garantire la subordinazione della regione è fondamentale: non solo per mantenere il suo dominio politico, economico e militare, ma anche per impedirne l’articolazione con i poli emergenti del Sud Globale.
L’avvicinamento crescente dei paesi latinoamericani e caraibici alla Cina, alla Russia, all’India, all’Iran o ai BRICS rappresenta una minaccia diretta per l’ordine unipolare guidato dagli Stati Uniti e dalle potenze del Nord globale. Se questa convergenza si approfondisse, potrebbe seriamente erodere le fondamenta del sistema finanziario neoliberale e aprire la strada a un mondo veramente multipolare.
Ecco perché l’ingerenza americana nella regione rimane intensa e persistente. Tuttavia, questo non implica un’alleanza armonica tra globalisti e neoconservatori. Al contrario, entrambe le correnti contestano l’egemonia regionale con strategie diverse: i neoconservatori privilegiano l’uso della forza, la destabilizzazione e il controllo diretto; mentre i globalisti puntano su meccanismi istituzionali, finanziari e diplomatici più sofisticati, ma ugualmente orientati al controllo.
In questo quadro, i governi nazional-popolari o progressisti sono spesso costretti a navigare tra queste due pressioni, formando alleanze tattiche (spesso con i settori globalisti) che permettono una certa autonomia “relativa”, anche se impongono limiti ai progetti di piena sovranità. La chiave strategica sta nel rafforzare l’articolazione Sud-Sud e costruire capacità proprie che permettano alla regione di rompere con questa logica di dipendenza strutturale.

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