Settant’anni di destabilizzazione degli Stati Uniti in Cina. Insurrezione uigura sponsorizzata dagli Stati Uniti nello Xinjiang

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di Shane Quinn

Articolo ubblicato per la prima volta da Global Research il 23 dicembre 2019

FONTE ARTICOLO: GLOBALRESEARCH

L’uscita della Cina, nell’ottobre 1949, dalla sfera del controllo statunitense, fu forse il colpo più duro a colpire l’egemonia globale americana del secondo dopoguerra.

Nel settembre 1948, il lungimirante diplomatico americano George Kennan notò che “ci sono notevoli limitazioni su ciò che possiamo fare per influenzare il corso degli eventi in Cina“. Nel corso dei sette decenni trascorsi da allora, la portata dell’influenza americana negli affari interni della Cina è stata – nella migliore delle ipotesi – limitata, ma continua comunque a ritmo sostenuto. Washington ha implementato tutta una serie di politiche nella speranza di destabilizzare e frantumare la Cina.

Le strategie del Pentagono nei confronti della Cina hanno, in qualche modo, rispecchiato quelle dirette contro l’URSS: utilizzo di gruppi, estremisti e minoranze etniche, insieme all’utilizzo di stati vassalli per procura.

Il Turkistan Islamic Party (TIC), un’organizzazione terroristica, è stata fondata dai jihadisti uiguri nel 1988, proprio mentre scoppiavano le rivolte separatiste nella provincia dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. Il Partito islamico del Turkestan, precedentemente noto come Movimento islamico del Turkestan orientale, ha ricevuto il patrocinio della CIA sin dalla sua nascita.

In modo contraddittorio, il Turkistan Islamic Party, che ha sede in gran parte nel nord-ovest del Pakistan, è considerato un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, insieme ad altri grandi paesi come la Russia, e, naturalmente, la Cina e il suo vicino Pakistan.

Nel 2001, i militanti uiguri si stavano preparando per la guerriglia negli stessi campi situati in Afghanistan dove la CIA e l’ISI, i servizi segreti pakistani, una volta avevano fornito addestramento agli estremisti mujaheddin, al fine di ostacolare le truppe sovietiche insediate in Afghanistan 40 anni fa.

Tra il 1990 e il 2001, il Partito islamico del Turkistan ha perpetrato oltre 200 atti terroristici, tra cui l’esplosione di veicoli, attentati ai mercati e l’assassinio di funzionari del governo cinese.

Dopo gli attacchi dell’11 settembre contro l’America, gli estremisti uiguri sono stati visti combattere contro i soldati statunitensi durante la “guerra al terrore” di Washington in Afghanistan. Quasi due dozzine di uiguri sono stati inviati al famigerato campo di detenzione di Guantanamo, gestito dagli Stati Uniti, nel sud-est di Cuba, dove alcuni uiguri sono stati trattenuti fino a 12 anni.

Separatisti uiguri di alto profilo, come Anwar Yusuf Turani, nato nello Xinjiang e fondatore del governo del Turkestan orientale in esilio, vive lui stesso nello stato della Virginia, sulla costa orientale americana. Turani è stato uno strumento volenteroso nel gioco di potere di Washington con la Cina; nel giugno 1999, ha incontrato il presidente Bill Clinton chiedendogli di sostenere i movimenti politici che cercano l’indipendenza per lo Xinjiang; Turani, in seguito, ha dialogato con il successore di Clinton, George W. Bush, che ha promesso di sostenere i “diritti umani fondamentali” degli “Uiguri e altri che vivono in Cina“.

Xinjiang. Storia e Sviluppo

Sono ancora disponibili le copie del libro Xinjiang. Storia e Sviluppoun progetto di ricerca condotto dal Centro Studi Eurasia e Mediterraneo.

Altri importanti esuli uiguri che vivono in America hanno chiesto l’indipendenza dello Xinjiang dalla Cina; una di queste è Rebiya Kadeer, cinque volte candidata al premio Nobel per la pace, nata nello Xinjiang e residente anch’essa nello stato americano della Virginia.

Per 11 anni, fino a novembre 2017, è stata a capo del World Uyghur Congress (WUC), organizzazione con sede a Monaco che è in parte finanziata dal National Endowment For Democracy (NED).

La NED, parzialmente sovvenzionata dal Congresso degli Stati Uniti, ha una lunga storia in materia di ingerenze di “soft power” negli stati sovrani di tutto il mondo: Cina, Nicaragua, Ucraina e così via.

Il World Uyghur Congress è stato istituito nell’aprile 2004 da Erkin Alptekin, ex consigliere della CIA.

Il marito della Kadeer ha precedentemente lavorato come commentatore per l’emittente gestita dal governo degli Stati Uniti, Radio Free Asia. Come Turani, Kadeer è una specie di pedina mossa da Washington nella crescente rivalità geopolitica USA-Cina.

In passato ha accettato inviti a incontrare il presidente George W. Bush e il segretario di Stato Condoleezza Rice, per cercare il sostegno all’indipendenza degli uiguri dalla Cina. Durante una visita nel giugno 2019 in Giappone, alleato degli Stati Uniti, ha invitato Tokyo a fornire un maggiore sostegno politico allo Xinjiang.

Uno dei motivi centrali della forte attenzione di Pechino sullo Xinjiang è il fatto che questa regione è ricca sia di giacimenti di petrolio (21 miliardi di tonnellate) che di carbone (40% delle intere riserve cinesi).

Alcuni nativi uiguri si sono lamentati del fatto che Pechino si limita a spedire le materie prime dallo Xinjiang direttamente alla capitale cinese e ad altre città relativamente ricche come Shanghai, senza fornire un adeguato compenso in risposta. Anche una piccola sovrattassa potrebbe bastare per migliorare significativamente le condizioni di vita degli uiguri.

L’esperto storico brasiliano, Luiz Alberto Moniz Bandeira, ha scritto che le premure adottate da Pechino nello Xinjiang siano dovute anche in parte alla sua posizione di hub di gasdotti; stiamo parlando, infatti, di un territorio attraverso il quale le risorse naturali si riversano in Cina dall’Asia centrale e che Bandeira afferma “è stato uno dei fattori alla base delle tensioni etniche scoppiate nel corso degli anni ’90 e all’inizio del 21° secolo, con la Cina che ha investito 15 miliardi di dollari nelle infrastrutture e lo sviluppo della regione fino al 2001, compresi gli impianti petrolchimici ei trasporti di gas a Shanghai”.

La China National Petroleum Corporation (CNPC), una società statale con sede a Pechino, “ha cercato di trasformare lo Xinjiang nella più grande base di produzione di petrolio e gas del Paese fino al 2020”. Non sorprende che lo sfruttamento delle risorse dello Xinjiang da parte di Pechino sia in aumento, mentre la provincia è anche un punto focale per il vasto progetto industriale della Belt and Road Initiative (BRI) cinese.

Inoltre, il governo di Xi Jinping conserva forti ambizioni nel voler collegare lo Xinjiang a Gwadar, un porto strategico situato nel sud del Pakistan che si affaccia sul Mar Arabico.

Per un certo numero di anni, Pechino ha investito molto in Pakistan, arrivando anche a sud appunto fino a Gwadar, snodo portuale che potrebbe fornire all’amministrazione cinese un campo di possibilità in alcune delle rotte marittime petrolifere più vitali del pianeta, con le acque del Golfo di Oman e del Golfo Persico posizionate in modo allettante vicino a Gwadar.

La Cina è il principale partner commerciale del Pakistan e Pechino vede il suo vicino come un importante alleato; questo è confermato dal Corridoio economico Cina-Pakistan, un programma infrastrutturale tra queste due nazioni del valore di decine di miliardi di dollari.

Concentrandoci nuovamente sugli sforzi del Pentagono per destabilizzare la Cina, rivolgiamo la nostra attenzione al Tibet: una gloriosa regione nel sud-ovest della Cina, grande quasi il doppio della Francia i cui paesaggi sono dominati dalle imponenti cime montuose dell’Himalaya piene di neve, vaste pianure disabitate.

Dopo la rivoluzione cinese del 1949, il Congresso americano ritenne che il Tibet avesse diritto all'”autodeterminazione”; e Washington ha dato pieno appoggio al governo tibetano in esilio, istituito nel 1960 dall’attuale Dalai Lama (Tenzin Gyatso).

Il Dalai Lama – che ha legami con la CIA risalenti agli anni ’50 – è fuggito in India dalla capitale del Tibet, Lhasa, in seguito alla fallita e sanguinosa rivolta tibetana del 1959 sostenuta da Washington contro il controllo cinese della regione.

Questa rivolta è stata parzialmente istigata all’interno degli stessi Stati Uniti, sotto gli auspici dell’ufficiale della CIA Bruce Walker a Camp Hale, la struttura di addestramento dell’esercito americano in Colorado.

A Camp Hale, dal 1956 al 1957, la CIA addestrò dai 250 ai 300 “combattenti per la libertà tibetani”; tutto è stato tenuto segreto all’opinione pubblica. L’addestramento dei tibetani da parte della CIA continuò a Camp Hale fino alla sua chiusura nel 1964.

Un’altra base segreta per le operazioni statunitensi contro la Cina è stata stabilita nella località sciistica di Aspen, in Colorado.

Altri campi di addestramento della CIA furono istituiti in luoghi separati nel Nepal, paese dell’Asia meridionale, che confina a nord con il Tibet.

Tra il 1949 e il 1951, il numero di agenti della CIA impegnati in azioni segrete aumentò di dieci volte. Il budget della CIA, destinato ad incoraggiare rivolte e disordini sociali in Cina, ha raggiunto 20 volte la somma di denaro stanziata per il rovesciamento di Mohammed Mossadegh nel 1953 in Iran. Nel prendere di mira la Cina, la CIA ha ricevuto, inoltre, assistenza dai servizi speciali del Nepal e dell’India.

Il fratello maggiore del Dalai Lama, Gyalo Thondup, è stato coinvolto in varie operazioni sponsorizzate dalla CIA contro la Cina – alla fine sono state schiacciate da Pechino – provocando molte migliaia di morti.

Spesso interpretando il ruolo di “inviato non ufficiale” del Dalai Lama, Thondup, che oggi vive in India e ha poco più di 90 anni, si è recato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1951. Ha fornito ampie informazioni al Dipartimento di Stato americano su tutte le questioni riguardanti il Tibet.

Un esercito tibetano armato e finanziato dalla CIA, il Dokham Chushi Gangdruk, ha continuato per anni una campagna di guerriglia all’interno delle frontiere della Cina. A metà degli anni ’60, erano operativi quasi 2.000 combattenti di etnia tibetana sostenuti dagli Stati Uniti.

Il Dalai Lama ha beneficiato di generose quantità di fondi della CIA, e solo nel 1964 è stato sovvenzionato con 180.000 dollari.

Fino al 1975, il Dalai Lama ha oscurato il ruolo della CIA nella rivolta tibetana del 1959 e in altre attività, in un momento in cui era in contatto con agenti statunitensi in Tibet. Il Dalai Lama, premio Nobel per la pace nel 1989, ha ricevuto un’indennità dalla CIA risalente ai primi anni ’50, ma forse anche prima.

Durante un’intervista con il New York Times a metà settembre 1993, il Dalai Lama disse: “oggi, l’aiuto e il sostegno che riceviamo dagli Stati Uniti è veramente per simpatia e compassione umana“.

Nel corso del 21° secolo, i governi degli Stati Uniti hanno continuato a incanalare fondi per cause legate all’indipendenza tibetana, attraverso le filiali del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti come il Bureau of Population, Refugees, and Migration (PRM).

Altrove in Cina, e in tempi più recenti, Washington si è limitata a utilizzare le sue organizzazioni di “soft power” – come la NED fondata nell’era Reagan, organizzazione che sostiene finanziariamente le proteste anti-Pechino a Hong Kong.

Dal 2014, il NED ha fornito circa 30 milioni di dollari ai manifestanti filo-occidentali o indipendentisti di Hong Kong e non è casuale il fatto che le manifestazioni abbiano goduto di una ampia copertura su larga scala e della simpatia della stampa mainstream.

Può essere opportuno evidenziare la frase usata dagli studiosi americani, Noam Chomsky e Edward Herman, nel loro libro Manufacturing Consent – riguardo al caso delle “vittime degne e indegne”.

Nell’analisi dei media liberali, ci sono abbastanza spesso esempi in mostra delle vittime riconosciute e non riconosciute del nostro mondo. La tipica narrazione dei mass media applica i principi di: Musulmani Rohingya, “vittime degne”. Palestinesi, “vittime indegne”. Manifestanti di Hong Kong, “vittime degne”, manifestanti dei Gilet Gialli, “vittime indegne”, ecc.

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