LA CRISI MIGRATORIA TRA POLONIA E BIELORUSSIA: LA NUOVA CORTINA DI FERRO DEL XXI SECOLO IN EUROPA

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Di Lorenzo Borghi

L’Unione Europea è pronta ad affrontare una nuova crisi migratoria, ma questa volta essa non proviene dal Mar Mediterraneo, bensì dal confine tra la Polonia e la Bielorussia. Le probabili conseguenze di quanto sta accadendo, potranno determinare la costruzione di un nuovo muro e la nascita di una nuova cortina di ferro.

Lungo il confine tra la Polonia e la Bielorussia sta imperversando una cruenta crisi migratoria che vede come vittime non uno dei due Stati coinvolti, ma i profughi ammassati lungo il confine, volenterosi di intraprendere una nuova vita. Questi ultimi, loro malgrado, si trovano all’interno di un intricato intreccio di politica estera: la Bielorussia ha incanalato i flussi migratori presenti nel proprio territorio verso il confine con la Polonia, come vendetta nei confronti delle sanzioni imposte dall’Unione Europea; la Polonia, tramite il suo Primo Ministro Mateusz Morawiecki, accusa la Turchia di collaborare con la Bielorussia e la Russia; e, infine, la Turchia incolpa le politiche poco ortodosse della Grecia, in ambito di accoglienza, come le principali cause della crisi migratoria in questione. Tutto questo polverone politico, però, sta ricadendo sulle spalle degli innocenti migranti accorsi, o meglio dire spinti da Lukashenko, verso il confine polacco per raggiungere l’Europa occidentale.

LA STRATEGIA DI LUKASHENKO E LA POSIZIONE DI PUTIN

Negli ultimi mesi la Bielorussia è stata pesantemente colpita dalle sanzioni europee, ulteriormente implementate dopo il caso dell’atterraggio forzato del volo Ryanair all’interno del quale erano presenti il giornalista Raman Pratasevich e la sua compagna Sofia Sapega. A tal proposito, il Consiglio dell’UE ha varato il divieto del trasferimento di certi beni, tecnologie e software utilizzati per il monitoraggio e l’intercettazione di dati su internet o di comunicazioni telefoniche. Inoltre, è vietato esportare materiali militari o materiali indirizzati alle forze militari bielorusse. Senza contare, tutte le limitazioni e divieti agli investimenti esteri dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri nei confronti della Bielorussia.1

Di conseguenza, è logico trovare una motivazione alla base dell’attuale situazione del confine tra la Bielorussia e la Polonia: Lukashenko, attraverso le istituzioni statali, ha indirizzati i flussi migratori presenti nel territorio bielorusso verso la Polonia, utilizzando quindi i migranti come “proiettili” verso l’Unione Europea. Nella mente del leader bielorusso vi è l’intenzione di difendersi dalle sanzioni con i “proiettili” umani, ma non solo. Infatti, dal momento che ulteriori sanzioni non tarderanno ad arrivare, Lukashenko ha già preparato la contromossa: interrompere il transito del gas naturale del gasdotto Yamal-Europa, che rifornisce soprattutto Germania e Polonia. Questa mossa creerebbe sicuramente grossi disagi ai Paesi dell’Europa centro-settentrionale e porterebbe a una crisi diplomatica tra l’UE e la Russia. Per l’appunto, a Yamal vengono prodotte annualmente una quantità pari a 18,8 tonnellate di GNL2, che vengono prontamente distribuite in Asia, ma soprattutto in Europa. Di conseguenza, perdere i clienti europei, significherebbe vedere venir meno una fetta significativa degli introiti, senza dimenticarci che l’esportazione dei gas naturali è una delle principali fonti di ricavo della Russia. Il Cremlino, tramite il portavoce Dmitri Peskov, ha prontamente rassicurato i partner economici europei in merito alle forniture di gas: “L’affidabilità della Russia come fornitore e partner secondo gli attuali e i futuri contratti è fuori discussione”.

Osservando le conseguenze negative delle mosse e contromosse di Lukashenko, è inevitabile affermare che qualora non si trattasse di un bluff, allora la Russia sarebbe in procinto di colmare il probabile vuoto economico con un avanzamento strategico-militare. Infatti, il Pentagono ha rilevato un aumento sospetto di truppe russe lungo il confine con l’Ucraina. Il rischio è che la Russia sia pronta ad approfittare della crisi migratoria tra la Polonia e la Bielorussia per replicare quanto fatto in Crimea nel 2014.

LA POSIZIONE DELL’UNIONE EUROPEA

Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’Unione Europea non resterà inerme innanzi alle ulteriori violazioni dello stato di diritto da parte di Lukashenko. Un’idea di quali saranno le prime azione che l’UE intraprenderà nei confronti della Bielorussia, sono state ben illustrate dalla commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, nel suo intervento al Parlamento europeo: “Quello che vediamo alle frontiere tra la Bielorussia e l’Unione europea (in Lituania, Lettonia e Polonia, ndr.) non ha precedenti. È una situazione inaudita. Non è una crisi migratoria, è una vera e propria aggressione di un regime illegittimo e disperato che sappiamo capace di compiere atti atroci. Tra i “modi per porre fine” a quanto avviene dobbiamo lavorare con i Paesi terzi per bloccare i voli verso Minsk”, oltre a un “lavoro di emendamento del codice Schengen cercando nuovi metodi per rispondere a questa tipologia di aggressioni””. Per l’appunto, gli Stati Uniti sono pronti a collaborare con l’Unione Europea e il presidente statunitense Biden ha affermato la volontà di sanzionare quelle compagnie aeree che facilitano il traffico di esseri umani verso Minsk e il confine tra Bielorussia e l’UE. Inoltre, anche la Turchia, secondo quanto riportato da Politico, su pressione della Commissione europea, si è mossa in questa direzione con la Turkish airlines pronta a giocare un ruolo significativo nelle future sanzioni contro la Bielorussa: le autorità turche sospenderanno la vendita di biglietti di sola andata per Minsk; alla compagnia aerea bielorussa Belavia sarà impedito l’accesso alla rete mediorientale di Turkish airlines (è così che molti migranti si sono recati a Istanbul e poi diretti a Minsk); infine, la compagnia aerea non venderà temporaneamente i biglietti da Istanbul a Minsk a persone di determinate nazionalità, tra cui yemeniti, siriani e iracheni.

Per quanto riguarda le future sanzioni che l’UE infliggerà ai danni della Bielorussia, è chiaro che vi sarà una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, come già specificato poc’anzi. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen è volata a Washington per incontrare il presidente Biden. Al termine dell’incontro nella Stanza Ovale, la Von der Leyen ha chiaramente manifestato l’intenzione di punire pesantemente il regime di Lukashenko, ampliando le sanzioni già in vigore per la Bielorussia e che queste saranno operative a partire dal prossimo dicembre.

IL FUTURO DEL CONFINE TRA LA POLONIA E LA BIELORUSSIA

Al vaglio delle diverse strategie per contrastare l’emergenza sanitaria e le spregiudicate scelte di politica estera di Lukashenko, tramite l’utilizzo di innocenti profughi, l’UE e la Polonia stanno valutando la possibilità di costruire un muro tra il territorio polacco e la Bielorussia. Questa soluzione, ad ogni modo, è stata molto criticata da diversi leader europei ed Eurodeputati. Nonostante ciò, essa pare ad oggi la strada più veloce per arginare Lukashenko.

Per quanto concerne le critiche, la questione più delicata riguarda il finanziamento del muro. Molti sono a favore dell’utilizzo del bilancio europeo come principale forma di sostentamento alla costruzione della “Cortina di Ferro” tra la Polonia e la Bielorussia, come sostenuto in queste ultime ore dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel: “Al nostro ultimo Consiglio europeo abbiamo condannato e deciso di rispondere a questi attacchi. Abbiamo chiesto alla Commissione di proporre tutte le misure necessarie in linea con il diritto dell’Ue, gli obblighi internazionali e i diritti fondamentali. Abbiamo aperto il dibattito sul finanziamento da parte dell’Ue dell’infrastruttura fisica delle frontiere. Questa questione deve essere risolta rapidamente”. Tale proposta è stata per ora respinta dal Primo ministro italiano Mario Draghi, indirettamente anche dalla Von der Leyen, e da diversi eurodeputati, i quali sostengono che qualora vi fosse la necessità di innalzare un muro, esso non verrà finanziato direttamente dall’Unione Europea. Inoltre, essi sostengono la linea politica dell’accoglienza, chiedendo alla Polonia di accettare l’assistenza delle agenzie UE in materia di gestione di crisi umanitarie, come parallelamente ha accettato di fare la Lituania, anch’essa nel vortice della crisi migratoria con la Bielorussia.

Nonostante ciò, la deriva a cui si andrà inevitabilmente incontro per arginare la crisi verrà segnata dalla costruzione di un muro lungo il confine tra la Polonia e la Bielorussia. Il Ministro degli interni polacco, infatti, ha dichiarato a Radio Rmf Fm, che la volontà di Varsavia è quella di costruire la recinzione entro la metà del 2022; la struttura sarà lunga 180 km e alta 5,5 mt e rinforzata con le più moderne tecnologie di difesa.

Di conseguenza, a breve celebreremo in negativo la costruzione di un nuovo muro pronto a dividere ancora una volta il continente europeo, senza dimenticarci che pochi giorni fa in tutta Europa abbiamo celebrato il trentaduesimo anniversario della Caduta del Muro di Berlino.

Redazione CeSEM: Aggiornamento da Mosca.

La Russia “non ha nulla a che fare” con la crisi dei migranti in corso sul confine tra Bielorussia e Polonia scoppiata nei giorni scorsi. Ad affermarlo è il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista tv. Secondo Putin le organizzazioni criminali che trafficano i migranti hanno sede “in Europa” ed è compito delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza europei gestire il problema. Putin ha poi rivendicato la posizione già delineata dal ministero degli Esteri russo. “Non dobbiamo dimenticare da dove vengono le crisi legate ai migranti, la Bielorussia non è lo scopritore di questi problemi”, ha detto Putin, sottolineando che “i problemi sono stati creati dai Paesi occidentali”. “I problemi sono di natura politica, militare ed economica. Militare, perché tutti hanno partecipato alle operazioni in Iraq, per esempio, e ora ci sono molti curdi dall’Iraq. E hanno combattuto in Afghanistan per 20 anni, ora ci sono sempre più afghani”. Ma ci sono anche “ragioni economiche”. Nei Paesi petroliferi del Medio Oriente, la gente spesso vive peggio che con le prestazioni sociali in Europa, dice Putin.

Le azioni delle guardie di frontiera polacche contro i migranti accampati al confine bielorusso “contraddicono gli ideali umanitari propagandati dai vicini occidentali”, ha detto Vladimir Putin nell’intervista. “Quando le guardie di frontiera e i militari polacchi picchiano i migranti, sparano sopra le loro teste, di notte accendono sirene e luci nei luoghi dove sono accampati, dove ci sono bambini e donne negli ultimi mesi di gravidanza, questo non combacia molto alle idee umanitarie che sono alle fondamenta della politica dei nostri vicini occidentali”.

Poi Putin dice: “Sulla base delle conversazioni che ho avuto sia con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko sia con la cancelliera tedesca Angela Merkel, i due leader sono pronti a parlare l’uno con l’altro”.

Putin si è espresso anche sulla minaccia di interrompere le forniture di gas russo all’Ue da parte di Minsk. Secondo il presidente russo un’eventuale interruzione costituirebbe “una violazione del contratto” e “danneggerebbe le relazioni fra la Bielorussia e la Russia”. Putin ha sottolineato di sperare che “questo non accada” e ha poi assicurato che discuterà con Alexander Lukashenko della sua minaccia.

Il presidente Putin trova poi “inopportuno” che la Russia effettui sue manovre nel Mar Nero in risposta alle esercitazioni lampo della Nato, dato che “non c’è bisogno di aggravare la situazione”. “Il nostro ministero della Difesa ha proposto di tenere proprie esercitazioni non pianificate in questa zona ma credo che questo sia inappropriato, non c’è bisogno di aggravare ulteriormente la situazione. Pertanto il ministero della Difesa russo non andrà oltre lo scortare gli aerei e le navi”, ha notato.

1 Nuovo emendamento al regolamento UE n. 756/2006 concernente misure restrittive nei confronti della Bielorussia

2 https://totalenergies.com/energy-expertise/projects/oil-gas/lng/yamal-lng-cold-environment-gas

Lorenzo Borghi si è laureato alla triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso La Statale di Milano e sta attualmente frequentando la magistrale di Relazioni Internazionali, sempre presso La Statale di Milano.

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