ANALISI CULTURAL/IDEOLOGICA DEL CONFLITTO IN CORSO

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di Paolo Rada

Tra i mali dell’Occidente moderno non possiamo non annoverare tutte quelle ideologie/ correnti di pensiero, etat d’esprit per dirla con le parole di Renè Guenon, che a partire dalla fine dell’ecumene medievale si sono implementate in Europa e hanno, in modo più o meno diffuso, infettato, contagiato tutto il globo terrestre.

Con la locuzione di “Occidente moderno” non intendiamo solamente un luogo geografico, ma una sorta di luogo dello “spirito”, anzi sarebbe forse meglio dire un luogo dell’ “anti spirito”: infatti se l’Occidente moderno coincide geograficamente con l’Europa Occidentale e di cui, guarda caso, sebbene il caso non esista, l’Ucraina rappresenta il suo punto più estremo verso Oriente, però abbraccia anche il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda. Gli Stati Uniti d’America, insieme al Canada li possiamo annoverare quali propaggini occidentali dell’Europa sino al 1945: da quella data, fatidica ed emblematica assisteremo in poi, ad una sorta di principio dei vasi comunicanti, per cui ora è l’Europa Occidentale ad essere la propaggine orientale degli Stati Uniti d’America.

Tra le ideologie che hanno concorso alla distruzione dell’Europa Tradizionale, imperiale, ghibellina, sacrale, merita, sicuramente, un posto primario il concetto di nazione che sfocerà in quel cataclisma di sangue e orrore che sarà la Rivoluzione Francese, per poi divenire ideologia politica con i termini “nazionalismo”, “auto determinazione dei popoli”, “sciovinismo”, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Il nazionalismo suddetto sarà la copertura ideologica che concorrerà a produrre il risorgimento italiano, e le rivoluzioni borghesi che in tutto l’Ottocento tenteranno di scalfire l’alleanza tra il trono e l’altare, ciò che rimaneva dell’Europa autocratica e tradizionale. E’ interessante notare come il nazionalismo, contrapposto al concetto di impero, si formerà, quasi sempre negando l’altrui identità e ponendosi in contrapposizione con un altro nazionalismo, con un altro popolo, un altro Stato, un’altra etnia.

Il nazionalismo italiano risorgimentale e novecentesco, almeno sino alla Prima Guerra Mondiale si formerà infatti con l’elogio, parossistico e parodistico, di un’anima mediterranea e latina contrapposta ad un’anima tedesca, continentale. Si parlerà dei popoli germanici quali nemici storici dell’Italia.

Il fascismo, una volta assurto al potere, manterrà questa impostazione di fondo (basti pensare alla politica di italianizzazione/colonizzazione forzata del Sud Tirol) nonostante nella seconda metà degli anni Trenta si schierò, si alleò con la Germania.

Sempre per rimanere in ambito italico il neofascismo, soprattutto quello istituzionale, rappresentato dal Movimento Sociale Italiano, farà della difesa dell’”italianità” del Sud Tirol uno dei propri cavalli di battaglia.

Nell’agire politico, quasi sempre, in tutto il corso della storia recente la visione nazionalistica porterà alla negazione dell’identità di quelle popolazioni, che viventi all’interno dello Stato di appartenenza, per storia, per cultura, per tradizione non si riconoscevano nell’identità propugnata dai nazionalisti. Si andrà dalla proibizione di parlare la propria lingua, la negazione del bilinguismo, la riscrittura della storia in cui tutto ciò che non fa parte della supposta e fittizia – molto spesso creata ex novo da piccole minoranze borghesi – identità nazionale verrà ad essere assimilata a un qualcosa di negativo. Attraverso l’ espulsione forzata e/o “invogliata” degli autoctoni, con l’invio massiccio di coloni, immigrati in quelle terre si tenterà di cambiarne la composizione etnica. In una parola prima negare e poi distruggere l’identità altrui. Negare, distruggere, espellere o assimilare forzatamente: queste sono le pratiche del nazionalismo ottocentesco nei confronti delle minoranze etniche/linguistiche presenti all’interno della nazione di appartenenza.

Questa premessa è doverosa onde cercare di capire quanto sta avvenendo nei territori facenti parte dell’ex Repubblica Sovietica dell’Ucraina, che, è d’uopo sottolineare, mai esistette come Stato, nazione autonoma e indipendente se non dal 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Questo chiarissimo ed essenziale dato storico ci permette di comprendere come nella nazione denominata Ucraina il nazionalismo, che ha assunto tratti parossistici e criminali, sia stato ed è il collante che ha fatto sì che larghissimi strati della popolazione di suddetto territorio si ammantassero, quasi come fossero dei posseduti, ipnotizzati, parrebbe guidati da una mano esterna, di una sorta di fittizia identità la quale si alimenta e si riproduce di un odio verso l’altro: in questo caso verso tutto ciò che sia russo e/o appartenuto alla storia e cultura russa. L’identificazione tout court di comunismo marxista e Russia ci ricorda i peggiori strali anticomunisti delle estreme o moderate occidentali che si pensava non esistessero più.

Il nazionalismo ucraino ricorda altresì l’estremismo razzista e suprematista di larghi strati della popolazione israeliana, in particolare i coloni, nei confronti degli arabi, dei palestinesi nominati insetti, scarafaggi, animali la cui uccisione non provoca il minimo risentimento, ma anzi è ben voluta da Dio. Se volessimo utilizzare un altro esempio storico, più vicino a noi, l’ideologia nazionalista e antirussa che permea larghi strati di quelle popolazioni, non può non ricordarci il nazionalismo dell’estrema destra italiana per quanto riguarda il Sud Tirol, e l’anticomunismo, sempre dell’estrema destra italiana, che in un calderone poneva e assimilava elemento slavo identificandolo tout court con l’ideologia marxista leninista.

E’ interessante notare, a proposito di ideologia marxista leninista, come proprio nell’Europa Occidentale, ora intesa quale luogo geografico, siano proprio gli eredi dei vari Partiti Comunisti, coloro i quali in gioventù si ammantavano con l’ideologia marxista/comunista che, attualmente, siano schierati, senza se e senza ma, a favore del nazionalismo ucraino. In loro si è passati, una volta abbandonata, quanto meno formalmente, l’ideologia marxista, dalla lotta di classe, dall’odio di classe, all’odio tout court, all’odio verso tutto ciò che ha una forma, che richiama, come vedremo meglio in seguito, anche solo lontanamente i principi di gerarchia, di famiglia tradizionale, che crede che la base di una qualsivoglia società sia rappresentata da due elementi fondamentali: la famiglia e la religione. Da qui si capisce come in costoro, quasi istintivamente, vengano percepiti, attraverso la loro disumanizzazione quali nemici da annientare, abbattere, non appartenenti al genere umano, tutta una serie di soggetti che solcano la scena della politica internazionale contemporanea.

Questo, si badi bene, al di là della valenza o meno di siffatti uomini politici. Da qui una sorta di odio parossistico, e, veramente inspiegabile, se si volessero utilizzare solamente le categorie politiche e razionali, verso tutti coloro i quali anche solo lontanamente incarnano il principio patriarcale, il principio gerarchico: da qui l’odio verso Putin, Orban, Bolsonaro, Erdogan, Lukascenko e nei confronti di qualsiasi autorità, movimento tradizionale e/o religioso. Istintivamente essi percepiscono, per tornare alla situazione attuale, come il presidente dell’Ucraina, un comico, un ex ballerino sia “uno dei nostri” (dei loro…), sia un degno rappresentante dell’Occidente ideale e come, anche il nazionalismo più estremo incarnato dal battaglione Azov, di cui molti membri, non nascondono il loro odio anti cristiano e anti religioso, in nome di un politeismo parodistico che si nutre di icone e copie della Bibbia bruciate, è sempre preferibile rispetto a chi rappresenta, degnamente o meno il principio patriarcale, imperiale, gerarchico, che fa dell’alleanza con la Chiesa Ortodossa uno dei sui cavalli di battaglia: in questo caso il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

La contrapposizione tra il Presidente Putin e il presidente dell’Ucraina sembra quasi esteriorizzare simbolicamente quanto detto pocanzi. Il presidente dell’Ucraina, de facto se non de jure, potrebbe essere assimilato agli esseri che gli storici delle religioni chiamano trickster, e che, sebbene con qualche distinguo, nella religione islamica vengono definiti jinn. Siamo in presenza di figure religiose non umane (i jinn nella tradizione islamica sono esseri composti di fuoco), ma che hanno sembianza umana e che concorrono a creare, plasmare la realtà e che anche, quando hanno tratti criminali, malvagi, in loro vi è sempre un qualcosa di clownesco, buffonesco, parodistico. Entità che percorrono la storia, concorrono alla creazione di fatti, di avvenimenti, e che si manifestano catalizzando in sé, quasi in una sorta di operazione alchemica al rovescio, ideologie, correnti di pensiero (l’inconscio collettivo di Jung, i residui psichici di cui parla Evola, l’etat d’esprit per usare le parole di Guenon) per poi, quali ipnotizzatori, a rovesciarle sui popoli, sulle masse dirigerne, anche verso gli abissi peggiori, i destini, la storia. E’ come se attuassero una sorta di incantesimo/fattura verso moltitudini di popolazioni: come nel racconto del pifferaio magico di Hamelin. E’ come se un’intera popolazione, in questo caso quella ucraina, o larghi strati di essa avesse subito un lavaggio del cervello, una sorta di ipnosi di massa venendo plasmata di nazionalismo parossistico e russofobia. Interessante notare come la contrapposizione amico/nemico assuma per costoro i tratti estremistici delle peggiori pagine dell’Antico Testamento dove i nemici del popolo di Israele vengono puntualmente sterminati, distrutti, dispersi o nella migliore delle ipotesi resi schiavi.

E’ interessante, sempre notare, in questa carrellata d’odio, che dagli estimatori del nazionalismo ucraino in Italia, vengono attribuiti ai soldati russi le peggiore nefandezze che potremmo sintetizzare con il binomio crudeltà/codardia. I russi sono coloro i quali stuprano, violentano, ammazzano civili innocenti, per poi fuggire come topi all’apparire degli eroici soldati ucraini assimilati alle Brigate Internazionali Comuniste che combatterono in Spagna durante la guerra civile, o alle bande partigiane presenti nelle montagne, soprattutto del Nord Italia, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Leggere oggi le cronache della guerra in Ucraina, redatte da quasi tutti mass media occidentali, sembra di leggere un libro di storia, della Seconda Guerra Mondiale, di stampo antifascista: i buoni tutti da una parte i cattivi tutti dall’altra. Basta sostituire i combattenti della R.S.I., delle Brigate nere, della Decima Mas, con i soldati russi, con le “orde asiatiche” cecene di supporto all’esercito russo, e sostituire i baldi ed eroici partigiani con la “resistenza” ucraina, con il battaglione Azov ed il gioco è fatto. Da una parte i cattivi, i codardi, i vili, dall’altra gli eroici resistenti, gli eroici combattenti.

E’ uno scontro, quasi manicheo, dove non vi è quasi spazio per la mediazione: come si può dialogare con chi ammazza civili, chi violenta, chi bombarda ospedali, scuole e via discorrendo?

Come si può discutere con chi rappresenta, a torto o a ragione, nella visione di costoro, il principio di gerarchia, di famiglia tradizionale, di Impero, di religione? Con chi rappresenta, a torto o a ragione, nella visione di costoro, il principio dell’autorità patriarcale?

La Federazione Russa attuale con il suo Presidente rappresentano veramente questi principi o stiamo assistendo a una superfetazione ideologica, a un’attribuzione di idealità frutto di una sorta di allucinazione collettiva da parte dei progressisti dell’Occidente ideale?

Naturalmente non pensiamo di poter rispondere a una domanda talmente impegnativa nello spazio di un piccolo saggio, ma tenteremo di delineare quali sono le correnti di pensiero tradizionali e/o “reazionarie” che, sebbene ancora in fieri, in divenire, potrebbero un domani, permeare la società e lo stato della Federazione Russa.

Allo stato attuale queste correnti di pensiero, che ora illustreremo, non fanno parte delle idealità, della weltanshauung, nelle grandi città, a partire da Mosca e San Pietroburgo, di larghi strati della popolazione, soprattutto di estrazione alto borghese, che invece vorrebbero che la Federazione Russa, così era stata implementata da El’cin, negli anni Novanta, divenisse una fotocopia orientale delle società dell’Europa Occidentale. E’ innegabile che l’avvento più di 20 anni fa al potere in Russia del Presidente Putin, sebbene tra incertezze e, molto spesso offerte di amicizia all’Occidente ideale, la Federazione Russa si sia sempre più spostata dal modello di sviluppo decadente occidentalomorfo a un proprio modello di governo autonomo e indipendente a tutti i livelli: soprattutto, per quel che ci concerne, a livello storico e culturale. Vediamo ora di descrivere quelle che a noi sembrano le principali correnti di pensiero che negli ultimi 20 anni stanno concorrendo all’agire politico della Federazione Russa.

  1. CONCEZIONE IMPERIALE: Il concetto di impero che potremmo riassumere con questa frase: “unire delle genti diverse per farle partecipi di un destino comune” parrebbe essere uno dei tratti distintivi della visione politica della Russia attuale. L’idea di Impero, di Stato autocratico dispensatore del bene e della giustizia, traente fondamento da radici metastoriche, religiose, divine, è il tratto che caratterizzò tutte le civiltà tradizionali: dall’Impero di Roma, all’Impero Cinese, all’Iran Safavide, alle forme statali delle civiltà precolombiane, all’antico Egitto, al Sacro Romano Impero, all’Impero Asburgico, all’Impero degli Zar e l’elenco potrebbe continuare.
    Nell’ Europa moderna, si avrà, dopo la pace di Westfalia nel 1648, quale eco della concezione imperiale, il legittimismo: l’unione tra il trono e l’altare. L’impero Asburgico, Stato plurietnico, pluriconfessionale, plurilinguistico incarnerà sino alla sua dissoluzione, avvenuta in seguito alla Prima Guerra Mondiale, forse il migliore esempio, a noi storicamente e geograficamente più vicino di questa concezione statale. Nell’Impero Asburgico, nel Regno di Austria e Ungheria, conviveranno a livello etnico e linguistico l’elemento slavo, l’elemento austro tedesco, l’elemento magiaro, l’elemento ceco, l’elemento galiziano, l’elemento boemo, l’elemento moravo, l’elemento italico; conviveranno a livello religioso l’elemento cristiano cattolico, l’elemento cristiano ortodosso, l’elemento cristiano protestante, l’elemento musulmano sunnita, l’elemento musulmano sufi e sciita.

Sebbene la Russia attuale non faccia certamente discendere la propria autorità da un’investitura divina è innegabile al contempo la stretta alleanza che vi è tra lo Stato Russo e la Chiesa ortodossa, tra lo Stato Russo e le autorità musulmane che sono presenti all’interno della Federazione Russa. Infatti, parliamo di Federazione Russa, non di Stato Russo, la quale è composta da svariate repubbliche autonome dove sono presenti a livello religioso l’elemento cristiano ortodosso, l’elemento cristiano cattolico, l’elemento musulmano sunnita, l’elemento musulmano sufi e sciita, l’elemento sciamanico tipico della Siberia, l’elemento buddista. A livello etnico e linguistico incontriamo i più svariati elementi: l’elemento slavo europeo, l’elemento slavo asiatico, l’elemento turco, l’elemento ceceno, l’elemento tartaro, l’elemento calmucco, l’elemento cosacco, l’elemento mongolo/siberiano e l’elenco potrebbe continuare.

Nella concezione di Impero non assistiamo a una sorta di rimescolamento/annullamento etnico e religioso in un melting pot uniforme che dissolve e nega le varie identità tipico delle società multiculturali e multirazziali dell’Occidente; nella concezione di Impero non assistiamo alla negazione e distruzione delle specifiche identità culturali etniche e religiose tipico del nazionalismo otto e novecentesco, i cui strascichi investono ora la società ucraina. Nella concezione di Impero abbiamo il riconoscimento delle specifiche identità culturali, religiose, etniche le quali si sublimano nella figura divina dell’Imperatore dispensatore di pace e di giustizia. Questa fu la grandezza di Roma: non è casuale che in determinate correnti spirituali che attraversano da più di un secolo la società russa si parli dell’Impero Zarista, di Mosca quale terza Roma: la prima Roma cadde nel 1476 con la fine dell’Impero Romano d’Occidente; la seconda Roma, caratterizzata dal bizantinismo, concezione che andava ben oltre il mero elemento religioso, fu Costantinopoli che cadde nel 1452 con la presa della città sul Bosforo da parte degli Ottomani; la terza Roma da allora fu Mosca: non Mosca quale città slava, ma Mosca quale continuatrice dell’Impero di Roma, Mosca quale continuatrice del carattere, della storia bizantina che, in questa accezione viene vista quale una sintesi culturale, etnica e religiosa che ha caratterizzata un certo tipo di civiltà che va ben oltre l’elemento cristiano ortodosso. Nel concetto di Impero abbiamo l’idea di sintesi, la quale implica il riconoscimento e la valorizzazione dei vari elementi etnici, linguistici, culturali e religiosi. L’idea di sincretismo invece è esattamente il contrario: in essa abbiamo l’annullamento nel caso del nazionalismo e/o l’amalgama disarmonico e indifferenziato nel caso della società del melting pot delle varie identità etniche, linguistiche, religiose, culturali in nome di un unico modello di sviluppo.

Nella Federazione Russa attuale non riconosciamo, certamente, la concezione tradizionale dell’Impero, ma in essa vediamo, in divenire, in fieri, un’eco, un riverbero, un lontano richiamo, anche a livello inconscio di siffatta concezione nell’agire politico dei suoi governanti, nell’agire militare delle sue forze armate, nell’agire unitario delle varie etnie che fanno parte della Federazione Russa, nel riconoscimento, a livello popolare, del carattere autocratico del suo Presidente.

Da questa concezione, che è fondamentale, per capire gli avvenimenti attuali, derivano, quali conseguenze assiomatiche, altre idealità che ora illustreremo.

  1. VISIONE SALVIFICO/MESSIANICA: In tutte le concezioni imperiali vi è l’idea di un destino speciale, di un ruolo che nell’immediato o in prospettiva dovrà compiere l’Ecumene imperiale. Tutte le concezioni religiose, di cui il concetto di Impero è la conseguente forma politico, amministrativa, militare conseguente, affermano infatti il ritorno sulla terra del fondatore della religione stessa o di un suo rappresentante (es. Il Cristo del secondo avvento nel cristianesimo, il Mahdi, il dodicesimo discendente di Maometto/Mohammad nell’Islam sciita) alla fine dei tempi per compiere la battaglia tra il bene e il male, tra le forze della luce e le forze delle tenebre, tra le forze dello spirito contro le forze demoniache. Nel medioevo europeo, nell’Iran preislamico, per fare qualche esempio, vennero attribuite caratteristiche simili agli stessi imperatori, i quali una volta morti sarebbero poi ritornati sulla terra con poteri salvifici e divini alla fine dei tempi. Il ruolo salvifico/messianico diverrà inoltre prerogativa delle stesse popolazioni appartenenti all’Ecumene imperiale: popolazioni diverse unite da un destino comune, da un obiettivo comune. Possiamo parlare di una visione universalistica: impero dispensatore di pace di giustizia.

La deformazione parodistica e criminale di questo universalismo, di questa visione salvifico/messianica attualmente è incarnata dall’Occidente moderno, in tutte le sue svariate forme statali, culturali, etniche, religiose ecc. le quali hanno un punto fermo in comune: l’idea della superiorità della propria (in)civiltà e la volontà di imporre, in qualsiasi modo, alle altre culture, etnie, religioni, tradizioni che vi sono sulla terra la propria visione del mondo. E’ il concetto, caro ai governanti di quello che abbiamo definito Occidente ideale, dell’ “esportazione della democrazia”.

  1. IL RECUPERO DI TUTTA LA STORIA RUSSA: Nel concetto di Impero, così come si sta delineando, in fieri, nella Federazione Russa attuale abbiamo il recupero, la non cancellazione di tutta la storia della Russia, compresa la storia dell’Unione Sovietica. L’Impero tende infatti a unire; il piccolo nazionalismo tende invece a dividere, discriminare, cancellare. Nella visione imperiale non può esistere un tempo storico da annullare, cancellare o giudicare solamente come un qualcosa di negativo e/o imposto da nemici, forze esterne. Il recupero e la considerazione di tutta la storia passata è tipica delle compagini imperiali, è tipica della visione universalistica imperiale. Nel Sacro Romano Impero, impero cristiano per eccellenza, si ebbe il recupero della storia di Roma e la fusione armonica con la storia dell’avvento del Cristo; si ebbe il recupero della visione imperiale di Roma, si ebbe il recupero del diritto romano e la fusione armonica di questi due elementi con il concetto di governo cristiano; si ebbe il recupero della filosofia ellenica e romana e la fusione armonica con i dettami biblici.

Se nella Russia degli anni Novanta, la Russia che si stava sempre più avviando a divenire una brutta fotocopia del mondo occidentale, tutta la storia sovietica veniva considerata un qualcosa di criminale da rimuovere, ora non è più così. La storia dell’U.R.S.S., depurata e mondata dalle componenti criminali che sicuramente ci furono, viene oggi ad essere ri-considerata come parte integrante dell’identità collettiva e storica della Federazione Russa. Cancellare con un colpo di spugna il passato è un’operazione che porta come conseguenza logica alla divisione, alla discriminazione, al creare ostilità, tensioni tra la stessa popolazione. L’idea di celebrare la vittoria dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale non come la vittoria di una parte politica, di una ideologia, il comunismo, ma come vittoria patriottica, di tutte le componenti etniche, culturali, sociali, politiche, religiose della Federazione Russa è tipica di questa visione universalistica che punta al recupero di tutta la storia passata. Stessa identica cosa è stata fatta con la riabilitazione e la loro menzione quali eroi dei generali delle Armate bianche zariste che tentarono di opporsi sino all’ultimo alla presa del potere dei comunisti in Russia: non più eroi di una sola parte politica, ma eroi di tutta la Federazione Russa.

Il processo di cancellazione, rimozione di una parte importante della propria storia è stato invece compiuto dai governanti italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nelle scuole di qualsiasi ordine e grado, nelle produzioni culturali in senso lato si è fatta passare l’idea che il periodo fascista, e più in generale la Monarchia dei Savoia, il periodo che va dall’Unità d’Italia al 1945, fosse stato un periodo criminale, negativo a prescindere, una parentesi tra i buoni rivoluzionari risorgimentali e la nuova Italia postfascista. Non è casuale che in Italia oggi non vi sia una data, una ricorrenza, celebrata a livello istituzionale, in cui tutti gli italiani si riconoscano.

  1. PICCOLO E GRANDE POPOLO: Conseguenza del recupero di tutta la storia russa vi è in molti intellettuali, storici, politici l’analisi della storia russa e in particolare della storia degli ultimi decenni dell’Ottocento e del periodo sovietico con le categorie concettuali di “piccolo e grande popolo”, con le categorie concettuali del “partito del nostro Paese”, del “partito di questo Paese”. Vi è infatti l’attribuzione ad elementi cosmopoliti, molto spesso di origine non russa, o a elementi etnicamente russi, ma intellettualmente, culturalmente occidentali che vengono definiti “piccolo popolo” della creazione, dell’implementazione delle varie agitazioni nichilistico/anarchiche di fine Ottocento e inizio Novecento. Allo stesso modo viene ad essere interpretato il golpe socialdemocratico prima e successivamente bolscevico del 1917. Piccolo popolo contro grande popolo, cosmopoliti contro identitari, globalisti contro patrioti. La storia dell’U.R.S.S. e in particolare quella del Partito Comunista viene ad essere letta come la contrapposizione tra coloro i quali si sentivano, in primis et ante omnia, marxisti e comunisti propugnatori di una rivoluzione a livello globale di cui l’Unione Sovietica doveva essere solo un docile strumento e che vengono definiti appartenenti al “partito di questo Paese” e coloro, invece, fautori di una visione nazionalcomunista, in cui l’elemento marxista veniva ad essere attenuato dall’elemento culturale, religioso (sebbene in questo caso in modo segretissimo), tradizionale, storico appartenente alle varie etnie dell’Unione Sovietica e che vengono definiti appartenenti al “partito del nostro Paese”.
  2. VISIONE EUROASIATISTA: Dalla visione imperiale consegue l’idea, opposta al piccolo e disgregante nazionalismo, di grande spazio geopolitico, di unione/alleanze con altri attori presenti sulla scena mondiale. Per Eurasia intendiamo, il territorio che va dai confini occidentali dell’Europa a Vladivostok, alla penisola del Kamchatka e che è delimitato a Sud dall’arco montagnoso che va dalla Turchia attuale, passando per l’Iran, sino ad arrivare alle inaccessibili catene hymalaiane per finire poi nei deserti di Gobi e della Mongolia. Nella storia, potremmo citare, quali esempi di tentativi di unificazione dello spazio in un Impero universalistica da Est verso Ovest l’epopea di Gengis Khan; da Ovest verso Est il tentativo più che imperiale, imperialistico, movente da basi ideologico culturali antitradizionali giacobine e democratiche attuato da Napoleone; per poi arrivare, nel recente passato, al tentativo unificatore, basato su una visione razzista e sul nazionalismo pangermanista, ad opera di Adolf Hitler, o alla visione movente da basi controiniziatiche ed antitradizionali attuata dell’Armata Rossa durante il Secondo Conflitto Mondiale.

    Quello che in ogni caso emerge, al di là della valenza dei singoli interpreti di questi tentativi di unificazione è che il continente euroasiatico rappresenti uno spazio unitario di cui gli Urali, stante la loro altitudine non costituiscono, un limite invalicabile. Le potenze che man mano si sono susseguite nello spazio euroasiatico vengono definite dalla scienza geopolitica potenze della terra, telluriche (non nel senso negativo del termine, quella di terra, quale tenebra opposta al cielo luminoso), della stabilità, della forma in contrapposizione alle potenze del mare, del divenire, dell’informe definite potenze talassocratiche. Tra gli esempi per eccellenza di potenze talassocratiche, aventi una predisposizione a solcare e varcare i mari possiamo citare nell’Europa moderna l’Inghilterra, il Portogallo, l’Olanda e nella storia contemporanea gli Stati Uniti d’America.

Se si volesse dare una connotazione ideologica a questi due tipi di potenze si potrebbe affermare, con l’eccezione della Francia napoleonica e dell’Unione Sovietica, che le potenze della terra sono potenze conservative, che vogliono mantenere lo status quo e che si fondano sull’importanza delle proprie radici culturali, religiose, etniche, dove l’elemento guerriero, cavalleresco ha un’importanza fondamentale; si potrebbe invece affermare che le potenze talassocratiche sono potenze in divenire, mai ferme, fluttuanti basate sul commercio e sul banco, dove al guerriero è sostituito il mercante e dove, molto spesso, la vis guerriera si trasforma in pirateria, banditismo, razzia.

Il mondo occidentale moderno, a guida anglosassone, di cui l’Ucraina, volente o nolente, al di là dei singoli attori politici e militari che compongono questo Stato, è l’avamposto orientale, situato al confine della potenza tellurica russa, è, indubitabilmente, un’appendice della potenza talassocratica che oggi compare nella storia. L’Europa occidentale, con le isole britanniche, è l’appendice orientale della potenza talassocratica statunitense.

Il mondo occidentale, le potenze talassocratiche, nell’attualità stanno per muovere l’attacco culturale, economico, militare contro la potenza euroasiatica in vista non dell’unificazione del continente euroasiatico, ma in vista della sua occupazione e/o dissoluzione. L’obiettivo è quello di spostare il confine orientale della potenza talassocratica statunitense dall’Ucraina alla penisola del Kamchatka, all’estremo oriente della Siberia, allo stretto di Bering creando uno spazio continuo a oriente e a occidente della potenza talassocratica statunitense.

Non è certamente frutto del caso che, la dirigenza russa, dopo gli infruttuosi tentativi di arrivare ad una sorta di compromesso, unificazione del continente euroasiatico, nel primo lustro di questo secolo, attraverso le proposte di amicizia/alleanza verso le nazioni dell’Europa occidentale, le quali, però non rappresentano, de facto e de jure, dal 1945, un reale spazio geopolitico autonomo e indipendente, si sia rivolta verso altri spazi geopolitici nel tentativo di creare nuovi grandi spazi di unione geopolitica.

Da qui il guardare verso Sud con l’alleanza strategica, dai fortissimi risvolti militari, con l’Iran islamico e rivoluzionario, punto di approdo ai mari caldi, al Golfo Persico, Paese guida del mondo islamico sciita, che con i suoi alleati regionali forma una linea di continuità che si estende dal Mare di Oman, passando per Iraq, Siria e Libano al Mare Mediterraneo.

Questa alleanza strategica si è implementata superando, in una visione universalistica, secolari contrasti storici che vedevano l’Impero Zarista, e l’Unione Sovietica da sempre contrapposte sempre con lo spazio politico iraniano rappresentato di volta in volta dai safavidi, dalla dinastia Qajar, dalla dinastia Pahlevi, dalla Repubblica Islamica attuale.

Da qui il ri-guardare verso sud Ovest con l’alleanza strategica, anche in questo caso dai fortissimi risvolti militari, con la Siria guidata dal Presidente Assad, punto di approdo al Mare Mediterraneo.

Da qui i tentativi, di cui, allo stato attuale, non conosciamo l’esito di allargare il campo di alleanza, e/o creare un modus vivendi con la Turchia islamica del presidente Erdogan la quale, fa però, parte della NATO ed ha un rapporto se non di alleanza certamente d’amicizia con lo stato d’Israele.

La Turchia attuale oscilla tra il voler essere una nazione indipendente e autonoma, che si pone quale guida dello spazio geopolitico turcofono e di tutti quei popoli che storicamente fecero parte dell’Impero Ottomano: dalla Bosnia, al Turkestan cinese e, in prospettiva, il mondo islamico sunnita; e tra il voler essere nè più nè meno una sorta di appendice orientale della potenza talassocratica anglosassone, del mondo occidentale moderno. Da qui, infine, superando secolari contrasti e incomprensioni, le aperture verso la Cina ed i suoi alleati estremo orientali, verso l’India, verso il Pakistan e verso l’Afghanistan oggetto delle “attenzioni imperialistiche” sovietiche nel recente passato.

Il tentativo di creare uno spazio geopolitico continentale euroasiatico che, superando oggettivi limiti geografici, unisca il mondo del nomadismo delle steppe, del Turan, ovvero i territori a nord delle catene montuose dell’Anatolia, dell’altipiano iranico e tibetano che si estende sino all’estremo Oriente della Siberia, con il mondo persiano, con i territori del mondo sedentario e di cui l’Iran geografico è solo una piccola parte. Il guardare non più verso Ovest, ma verso Sud e verso Est, in vista della creazione di un blocco strategico e di alleanze che possa mettere in discussione il blocco talassocratico a guida atlantica e anglosassone, sembra essere l’indirizzo euroasiatista dell’attuale dirigenza russa, anche se rimane, abbastanza problematico il rapporto amichevole con lo Stato d’Israele.

La guerra attuale che si sta svolgendo nell’Ucraina è, forse il primo tentativo, dopo circa un trentennio di incontrastato dominio militare e geopolitico delle potenze talassocratiche, di messa in discussione siffatto dominio.

La Prima Guerra del Golfo, invece, nel 1991, opponendo l’Iraq baathista alla coalizione internazionale a guida statunitense, rappresentò il primo evento bellico post Yalta, post mondo bipolare. Essa infatti simbolizzò, al di là della valenza dell’attore in campo (Saddam Husseyn), la nuova contrapposizione, non più tra Occidente capitalista e Unione Sovietica comunista – attraverso l’evento maggiormente distruttivo che vi potesse essere, ovvero il conflitto bellico – tra il mondo occidentale moderno e il mondo islamico. Non fu certamente frutto del caso che il regime di Saddam Husseyn fece porre sulle nuove bandiere dell’Iraq baathista la scritta “Allah Akbar” (Dio è grande), e lo stesso regime baathista intraprese un nuovo corso politico meno laico e più attento ai valori religiosi della religione islamica.

Ora, dopo circa trent’anni da quel paradigmatico evento, stiamo assistendo al passaggio dal mondo unipolare ad un mondo multipolare dove le potenze talassocratiche non sono le sole a detenere i destini del mondo, ma devono, obtorto collo, tenere in considerazione le aspettative e le aspirazioni di altri attori geopolitici. Tra essi, repetita iuvant, emergono, sebbene con qualche punto interrogativo, la Federazione Russa, la Cina, la Turchia con i suoi alleati, l’Iran con i suoi alleati e l’India, i quali potrebbero in futuro creare uno spazio geopolitico con soluzione di continuità, che, rispettoso delle singole identità, metta in discussione il dominio occidentale sul mondo. Uno spazio geopolitico, che attirerebbe a sè, quasi in modo automatico, le Monarchie petrolifere del Golfo persico le quali, al pari della Turchia, ultimamente, sembrano oscillare tra il porsi a guida del mondo islamico e guardare alle nuove potenze geopolitiche ed essere una sorta di appendice esotica della talassocrazia occidentale.

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