7 maggio 1999: quando la NATO bombardò l’ambasciata cinese a Belgrado

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di Giulio Chinappi

Articolo Originale

Il 7 maggio 1999, nell’ambito della guerra di aggressione perpetrata dalla NATO contro la Jugoslavia, le forze del Patto Atlantico bombardarono l’ambasciata cinese a Belgrado, uccidendo tre giornalisti del Paese asiatico.

Nel maggio del 1999, eravamo nel pieno dell’operazione Allied Force, nome scelto per indicare la guerra d’aggressione perpetrata dalle potenze della NATO a guida statunitense nei confronti della Jugoslavia, al fine di provocare la caduta del presidente legittimo Slobodan Milošević e la perdita di parte del territorio nazionale attraverso la creazione di un Kosovo indipendente. Il 7 maggio, tuttavia, avvenne un grave episodio che coinvolse un Paese terzo, quando gli attacchi aerei colpirono l’ambasciata cinese a Belgrado, provocando la morte di tre giornalisti del Paese asiatico, Shao Yunhuan, Xu Xinghu e Zhu Ying.

A 23 anni da quell’evento, alti rappresentanti di Cina e Serbia si sono riuniti per commemorare l’attacco terroristico perpetrato dalla NATO e le sue vittime. La delegazione diplomatica orientale è stata guidata da Tian Yishu, incaricato d’affari presso l’ambasciata cinese in Serbia, mentre per il governo serbo hanno partecipato, tra gli altri, il ministro degli Interni, Aleksandar Vulin, e il ministro dell’Occupazione e degli Affari Sociali, Darija Kisić Tepavčević.

Tian ha affermato che il popolo cinese non dimenticherà mai le barbare atrocità commesse dalla NATO, né dimenticherà che la NATO ha bombardato il paese per 78 giorni consecutivi con il pretesto di “salvaguardare i diritti umani“.

Vulin ha affermato che l’invasione della NATO nel 1999 ha rappresentato un crimine contro una nazione sovrana e il suo popolo e ha violato gravemente il diritto internazionale. “La Serbia non smetterà mai di chiedere alla NATO di assumersi la responsabilità dei suoi crimini e la Serbia sarà sempre un amico affidabile per la Cina“, ha osservato il ministro di Belgrado.

L’episodio era stato ricordato anche in una conferenza stampa tenuta lo scorso 24 febbraio dal portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, il quale aveva affermato che “la NATO ha ancora un debito di sangue nei confronti del popolo cinese“.

Ironia della sorte, mentre le persone in Cina e Serbia commemorano la morte delle vittime delle barbare atrocità della NATO guidate dagli Stati Uniti 23 anni fa, la NATO non ha affievolito la sua agenda espansionistica né attenuato la sua aggressione, alimentando le fiamme sulla crisi ucraina e infangando la Cina con accuse diffamatorie“, commenta un articolo pubblicato dal Global Times.

Dopo il bombardamento dell’ambasciata cinese, l’allora presidente Bill Clinton e il segretario di Stato alla Difesa William Cohen si affrettarono a scusarsi e a giustificare l’episodio come un incidente causato dall’utilizzo di una “mappa obsoleta“: “In parole povere, uno dei nostri aerei ha attaccato il bersaglio sbagliato perché le istruzioni di bombardamento erano basate su una mappa obsoleta“, furono le precise parole di Cohen. “Il nocciolo della spiegazione della CIA era difficile da credere per molti: l’esercito più avanzato del mondo aveva bombardato un altro Paese membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e uno dei più accesi oppositori della campagna aerea della NATO a causa di un errore di mappatura“, avrebbe commentato Kevin Ponniah in un articolo pubblicato dalla BBC nel ventennale dell’attacco.

Secondo la versione statunitense, infatti, l’obiettivo era un centro federale jugoslavo che si trovava nei paraggi (precisamente a 350 metri di distanza), ma nell’ottobre dello stesso anno vennero rivelati particolari che dimostravano come l’attacco fosse avvenuto deliberatamente. “La Nato ha deliberatamente bombardato l’ambasciata cinese a Belgrado durante la guerra in Kosovo dopo aver scoperto che veniva utilizzata per trasmettere comunicazioni dell’esercito jugoslavo“, scriveva la testata britannica The Guardian, basandosi su un’inchiesta di alcuni giornalisti danesi, che avevano raccolto le testimonianze di “fonti militari e di intelligence di alto livello in Europa e negli Stati Uniti“. “La storia è confermata in dettaglio da altri tre ufficiali della Nato: un controllore di volo operante a Napoli, un ufficiale dell’intelligence che monitora il traffico radio jugoslavo dalla Macedonia e un alto ufficiale del quartier generale a Bruxelles“, aggiungeva ancora il giornale più venduto del Regno Unito.

L’episodio del bombardamento dell’ambasciata cinese provocò una grande ondata di proteste sia in Cina che tra la comunità cinese negli Stati Uniti. Migliaia di persone si riunirono nei pressi dell’ambasciata statunitense a Pechino, lanciando pietre contro l’edificio e rovesciando le automobili ufficiali parcheggiate all’esterno. Proteste si verificarono anche a Chengdu, sede del consolato statunitense in Cina. La Cina avrebbe in seguito ricevuto 28 milioni di dollari di risarcimento dagli Stati Uniti per l’attentato, ma ha dovuto restituire quasi 3 milioni di dollari per i danni alle proprietà diplomatiche statunitensi a Pechino e altrove. Gli Stati Uniti hanno pagato altri 4,5 milioni di dollari di risarcimento alle famiglie dei morti e dei feriti.

È bene ricordare che i bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia ebbero inizio il 24 marzo 1999 e si conclusero solamente il successivo 10 giugno, dopo la firma dell’accordo di Kumanovo, con un bilancio di 2.500 civili morti ed oltre 1.000 perdite tra le forze militari jugoslave. L’Italia partecipò attivamente alla vergognosa operazione, che trasformò la penisola in una gigantesca portaerei statunitense al centro del mediterraneo, dalla quale partirono più di 1.000 aerei da combattimento e circa 30 tra navi e sottomarini.

Nel 2018, la Serbia, sotto la guida dell’attuale presidente Aleksandar Vučić, ha creato una commissione per indagare sulle conseguenze dei bombardamenti con uranio impoverito condotti dalla NATO. “Io non avevo mai creduto fino in fondo a tali teorie, ma parlando con i medici ho appreso che l’uranio impoverito è stato la causa di molti tumori e che la malattia è più frequente nei bambini i cui genitori sono nati negli anni novanta“, aveva allora dichiarato il capo dello Stato, come riportato dall’agenzia Ansa. Le conseguenze dell’uso di tali armi illegali si sarebbero riversate anche sui militari italiani impegnati nella missione, tra i quali circa 4.000 si sono ammalati di cancro e quasi 300 sono morti.

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