La crisi tunisina, tra riassetti istituzionali, ideologici, e nuove speranze

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di Omar Kamal Othman Khalifa

Il presente articolo spiega brevemente in numeri la crisi economica tunisina. Sullo sfondo del colpo di stato di Saied, vengono analizzate eventuali alleanze che potrebbero formarsi con l’Arabia Saudita, gli Emirati e l’Egitto, all’indomani dell’estromissione di Ennahda dalla vita politica del paese, essendo quest’ultimo un partito legato alla Fratellanza Musulmana. Si analizza quindi la valenza che un ipotetico aiuto economico da parte dei Paesi del Golfo potrebbe avere per Saied e la sua transizione politica. Infine, si pone una breve analisi alla costituzione del nuovo governo a guida Romdhane, e a come esso si innesta in un frangente politico che vede Saied e il suo programma politico da una parte, e il bisogno di prestiti internazionali dall’altra.

Numeri di una crisi economica profonda

I numeri parlano da soli: Moody’s, famosa società privata statunitense di ricerca finanziaria, ha stimato un deficit fiscale del Pil del 7.7% nel 2021 e un rapporto debito pubblico/Pil di quasi il 90%, di cui il 70% estero; trend in chiaro aumento dal 2013, quando il debito pubblico/Pil si assestava ‘solo’ al 40%. La disoccupazione è al 20%, e se si considera solo quella giovanile, si arriva al 40%. Il dinaro si è svalutato del 64% dal 2011. Secondo le stime della Banca Centrale Tunisina, il Paese avrà bisogno di 3.5 miliardi di dollari per poter pagare i salari statali e i debiti esteri di quest’anno. A tal proposito, Abdelkarim Lassoued, il responsabile dei finanziamenti e dei pagamenti esterni della Banca Centrale Tunisina, ha fatto riferimento, rivolgendosi ai media locali, a “trattative in stato avanzato” con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, al fine di ottenere assistenza finanziaria per far fronte a questa crisi, sebbene non siano note le cifre di questo eventuale accordo.

L’appoggio di Emirati, Arabia ed Egitto, contro Ennahda e la Fratellanza Musulmana

Se si analizzano gli equilibri politici in ballo, questo aiuto non sembra arrivare per caso. Gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, assieme all’Egitto, sono da sempre nemici giurati della Fratellanza Musulmana, entità politica che promuove un’agenda politica di stampo islamico, la quale viene vista da questi Paesi come una minaccia esistenziale ai loro regimi, soprattutto alla luce del supporto popolare che questo gruppo islamico ha guadagnato dopo le rivolte della Primavera Araba. Il blocco emiro-saudita-egiziano ha difatti etichettato la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica. L’azione del presidente Saied, da molti considerata un vero e proprio colpo di stato, che ha congelato temporaneamente le funzioni del parlamento e rimosso l’immunità dei suoi deputati, nonché destituito il governo, ha inficiato principalmente l’influenza di Ennahda, partito politico con più seggi nel parlamento tunisino e politicamente allineato alla Fratellanza Musulmana. Alla luce di ciò, non c’è da meravigliarsi che l’azione di Saied sia stata accolta, dagli organi di stampa egiziani, sauditi ed emirati con toni di solidarietà e supporto. Ad alimentare i sospetti che il colpo di mano di Saied sia stato un qualcosa di preterintenzionale e orchestrato ad hoc, con l’aiuto dei Paesi avversi alla Fratellanza, concorrono due vicende.

La prima è il tempestivo raid e chiusura da parte della polizia tunisina della sede tunisina di Al-Jazeera all’indomani della sospensione del parlamento tunisino. L’emittente qatariota è di fatto politicamente vicina a Ennahda e quindi alla Fratellanza Musulmana, e la sua estromissione dal Paese può simboleggiare un tentativo di manipolare l’informazione attorno al colpo di mano del presidente Saied. In tal senso, la scoperta di migliaia di account Twitter falsi e non, con indirizzi localizzati perlopiù in Arabia Saudita e negli Emirati, che cercavano di distorcere il significato della crisi tunisina con l’hashtag “I tunisini protestano contro la Fratellanza Musulmana” è molto indicativa. L’azione di Saied però non sembra ispirata da un’avversione particolare contro ciò che la Fratellanza Musulmana rappresenta, bensì contro l’intera classe politica tunisina.

La seconda, e ancora più grave vicenda, ruoterebbe invece attorno ad una promessa di aiuto economico da parte degli Emirati e dell’Arabia Saudita nei confronti della Tunisia. Nello specifico, secondo l’account twitter di Mujtahidd, pseudonimo usato da un importante e noto attivista saudita, i due Paesi avrebbero promesso un deposito di 5 miliardi di dollari alla Tunisia in caso di successo del colpo di Stato, nonché il loro pieno sostegno alla Tunisia affinché non entrasse in recessione nel periodo successivo all’azione di Saied.

Questa cooperazione tra i due Stati del Golfo e la Tunisia è un fattore chiave nell’interpretazione geopolitica degli avvenimenti accaduti in Tunisia, che vedono la messa in crisi della democrazia tunisina come un elemento favorevole alle politiche emiro-saudite di influenza estera sul bacino nordafricano. Il presidente Saied sembra intenzionato ad instaurare un sistema di tipo presidenziale, accentrando più poteri possibili nella figura del presidente, ed è chiaro che il blocco emiro-saudita-egiziano sia decisamente favorevole a soluzioni di governo in cui emerge la figura singola di un ‘uomo forte’. Da quando è entrato in carica nel 2019, Saied ha sempre tenuto una posizione alquanto critica verso la vita politica tunisina e i suoi partiti, rei di essere, usando le sue parole, “delle cellule cancerogene” e di essere la principale causa dell’immobilismo politico ed economico che attanaglia la Tunisia dal 2011, momento in cui è stato destituito il dittatore Ben Ali sull’onda delle rivolte arabe. Questa visione gli è valsa, agli occhi della popolazione, l’immagine di incorruttibile, di un outsider estraneo alla politica tunisina di allora, avente come unico obiettivo quello di riformare il sistema politico tunisino dalle sue fondamenta. Proprio per questo motivo, la popolazione sembra appoggiarlo fortemente sin dalla sua nomina nel 2019, vedendo in lui la speranza di un cambiamento.

Saied, diviso tra il FMI e i prestiti emiro-sauditi

D’altro canto, la possibilità di accedere a ingenti finanziamenti da parte di Arabia Saudita ed Emirati potrebbe essere la chiave di volta della sua affermazione definitiva nella politica interna del Paese, potendo così evitare, per il momento, di bussare alla porta del Fondo Monetario Internazionale. Difatti, se da un lato è vero che non si potrà non passare per la richiesta di prestiti internazionali al FMI, dall’altro il presidente Saied sa bene che questo momento deve essere rimandato il più tardi possibile. Chiedere un prestito ad un organismo internazionale quale il FMI significa sottostare alle sue indicazioni nel campo delle riforme macroeconomiche strutturali e adottare un comportamento ‘virtuoso’. Con questo aggettivo si intende l’intraprendere un periodo di riforma di consolidamento fiscale, che riduca la spesa pubblica, contragga i salari pubblici e aumenti l’onere fiscale; una riforma dei sussidi – spesso nei Paesi nordafricani la maggior parte dei sussidi riguardano i beni alimentari di prima necessità – che comprenda una loro drastica riduzione; una serie di privatizzazioni di compagnie a guida statale e maggiore apertura verso il mercato globale. Tutto questo comporta di solito, almeno nel breve periodo, un abbassamento degli standard di vita della popolazione e un costo della vita più alto. Saied è conscio di essere nel pieno di una fase politica transitoria e non può permettersi di inimicarsi la popolazione con delle politiche di austerity. La sua posizione non è ancora del tutto stabile all’interno delle mura domestiche, soprattutto in questo periodo, e un venir meno del favore popolare potrebbe estrometterlo definitivamente. Accedendo invece ad un prestito emiro-saudita, la Tunisia riceverebbe un’autentica boccata d’ossigeno, permettendo a Saied di consolidare la sua politica di rifacimento dello Stato, emendare la costituzione, e assestare così la sua posizione. Passato questo periodo transitorio di assestamento, Saied potrebbe successivamente accedere ai prestiti del FMI da una posizione più stabile.

La nomina del governo Romdhane e la sua valenza

Il 22 settembre scorso, con decreto presidenziale diffuso tramite Facebook, il presidente Saied rafforzava la sua figura istituzionale dandosi la facoltà di governare per decreto in questa fase, definita da lui stesso “periodo emergenziale”, potendo così prendere ogni decisione politica in modo unilaterale, non essendoci né Governo, né Parlamento, né Corte Costituzionale a fare da controparte alle sue azioni. Si sta preparando a cambiare chiaramente il sistema politico, emendando per sua gran parte la costituzione del 2014, col fine, secondo le parole di Saied “di stabilire una vera democrazia, dove le persone sono veramente sovrane.” Il popolo tunisino ha però manifestato tutta la propria disapprovazione per le strade di Tunisi a quest’ultimo colpo di scena, affermando a gran voce che non vuole colpi di Stato ma il rispetto della democrazia. All’indomani di questi accadimenti, Saied decide di eleggere un nuovo governo, il 29 settembre, nominando Najla Bouden Romdhane come premier incaricata. E’ la prima donna premier nella storia del mondo arabo, e il suo gabinetto include ben otto donne. La nomina di Romdhane ha molteplici valenze. Innanzitutto, la sequenza cronologica della sua nomina dimostra chiaramente come ci sia una chiara e forte responsabilità politica del presidente Saied verso il popolo, in piena coerenza con il suo discorso riguardo la sovranità popolare. Questa nomina ha lo scopo di rimettere, perlomeno apparentemente, la Tunisia su un percorso democratico, dando così al popolo una rassicurazione contro qualsivoglia deriva autoritaria. Inoltre, bisogna tenere a mente che Romdhane occupava il posto di responsabile dell’attuazione del programma della Banca Mondiale presso il ministero dell’Istruzione tunisino, e questa familiarità coi programmi della Banca Mondiale potrebbe essere un indizio sul perché della sua nomina e sulla sua funzione nei prossimi mesi di vita politica. Una lettura in tal senso è supportata anche dalla composizione del gabinetto di governo, perlopiù professori accademici e tecnocrati, che lascia presagire una stagione di riforme economiche. Ma proprio questa estraneità del neo gabinetto al mondo della politica tunisina è il motivo delle speranze di buona parte del popolo tunisino, ormai stufo e disilluso da quasi un decennio di politica tunisina personalistica e passiva.

Scetticismi sulla bontà di Saied verso il nuovo governo

Nonostante ciò, vi sono parecchi scetticismi attorno a Romdhane e al suo governo. Secondo alcuni movimenti femministi tunisini, Saied sta solo strumentalizzando l’elezione di un premier donna, mettendola invece nelle condizioni di fallire dinanzi ad una situazione economica disperata, e dandole di fatto un mandato vuoto e privo di potere. Romdhane infatti avrà meno potere diretto rispetto agli scorsi esecutivi, poiché il suo governo sarà direttamente responsabile verso il presidente Saied, che sarà di fatto il leader dell’esecutivo. Infine, l’investitura di Romdhane non deve far dimenticare il mai celato conservatorismo del presidente Saied, che si è dimostrato, per esempio, chiaramente contrario all’uguaglianza uomo/donna nel tema delle eredità, dove una sorella ha diritto alla metà dei beni rispetto al fratello; una questione ancora molto calda in Tunisia, l’unico ‘esperimento democratico’ uscito dal tumulto delle primavere arabe. Se e come questa democrazia andrà avanti, è tutto da vedere.

Omar Kamal Othman Khalifa (Roma 1992)
è laureato in Cooperazione e Sviluppo internazionale presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza.

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