OSCE, pedina geopolitica nello scontro tra Occidente e Russia

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di Stefano Vernole

Tornano ad animarsi i rapporti tra la Federazione Russa e l’Occidente a seguito della scelta dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) di non inviare i propri osservatori internazionali alle elezioni parlamentari che si terranno in Russia tra il 17 e il 19 settembre per eleggere i 450 deputati della Duma di Stato. La decisione dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODHIR) e dell’Assemblea Parlamentare dell’OSCE è stata presa, secondo quanto riportato dall’organizzazione, a seguito della riduzione del numero di osservatori concessi dalle autorità russe dovute alla pandemia da Covid-19.

Questa notizia non è una vera sorpresa, almeno per gli addetti ai lavori, se si considera che già nel 2007 l’OSCE aveva deciso di non inviare i propri osservatori alle elezioni russe e se si tiene conto del rapporto preliminare della missione di valutazione dei bisogni OSCE/ODIHR (redatto dopo che esperti dell’organizzazione avevano valutato la situazione della Federazione Russa con una missione in loco) in cui l’organizzazione aveva espresso giudizio negativo sull’impossibilità di elezione come deputati della Duma di persone con doppia cittadinanza, divieto esplicitato direttamente nella Costituzione aggiornata.

Quanto accaduto sembra essere l’ennesima mossa volta a screditare la politica interna russa, un qualcosa già visto nel recente passato sia con il ‘caso Navalny’ che con il vaccino russo Sputnik V tanto osteggiato da Bruxelles anche in una situazione di estrema crisi come quella della pandemia. Eppure, secondo quanto si apprende dalle fonti locali russe, Mosca si era adoperata per favorire la presenza degli osservatori internazionali consentendo un numero dieci volte superiori a quello presente nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi vinte da Joe Biden con un margine molto minimo e definite dal presidente uscente Donald Trump come irregolari.

La Commissione Elettorale Centrale della Russia (CEC) e il Rospotrebnadzor (Servizio federale di sorveglianza sulla tutela dei diritti dei consumatori e sul benessere umano) avevano lavorato congiuntamente per creare le condizioni necessarie al soggiorno degli osservatori e garantire la loro presenza. Lo scontro con l’ODIHR sembrerebbe essere dovuto alla volontà dell’Ufficio dell’OSCE di giocare un ruolo di primo piano, o forse unico, nella missione degli osservatori internazionali con richieste sempre più pressanti che le Autorità russe hanno ritenuto non accettabili. Dall’atteggiamento dell’ODIHR si potrebbe ipotizzare che i suoi membri abbiano dimenticato che l’osservazione internazionale deve rispettare le regole di accreditamento vigenti nel Paese di osservazione (in questo caso la Russia) e che per un regolare svolgimento del monitoraggio delle votazioni sarebbe consigliabile che nessun organismo, neanche l’OSCE, cerchi di divenire il principale attore ledendo così i diritti di altre organizzazioni o enti.

La giustificazione della limitazione degli osservatori da parte della Russia nei confronti dell’OSCE è stata ritenuta insoddisfacente in un periodo in cui la pandemia da Covid-19 continua a regolare la vita di tutti i giorni di molti Paesi. Non è affatto un mistero che in alcune parti del mondo si sia tornati alla chiusura totale a causa dell’aumento di casi di positivi da Covid-19. Nessuno si è ‘scandalizzato’ quando durante gli ultimi Europei di Calcio i Paesi che ospitavano le partite hanno imposto forti restrizioni per evitare un aumento dei contagi (restrizioni che hanno interessato anche i tifosi russi nella partita Russia-Danimarca giocata a Copenaghen) riducendo il numero dei partecipanti così come nessuna obiezione è stata fatta per le imponenti misure di sicurezza inerenti i Giochi Olimpici di Tokyo dove oltre l’80% degli atleti e dei media accreditati sono vaccinati. A fronte di questi dati, sembrerebbe pretestuosa la motivazione dell’ODIHR di non inviare i propri osservatori considerando che, seppur a ranghi ridotti, i rappresentanti dell’OSCE avrebbero potuto lo stesso monitorare le elezioni e garantirne la democraticità in un periodo di crisi sanitaria come quello che stiamo vivendo.

Alla luce di questi eventi è lecito chiedersi se l’azione dell’OSCE e dell’ODIHR non rientrino nello scontro geopolitico che sta opponendo l’Occidente alla Russia; uno scontro scandito dall’agosto dello scorso anno dal caso Navalny e dalle continue critiche che molti leader occidentali hanno rivolto nei confronti del sistema politico e giudiziario russo, lasciando trapelare quel senso di ‘ingerenza’ negli affari interni degli altri Paesi che spesso ha caratterizzato l’Occidente. Considerando che alle prossime elezioni russe saranno presenti osservatori internazionali, molti dei quali giornalisti, i quali potranno riportare quanto visto nei seggi elettorali della Russia attraverso i loro articoli scritti liberamente una volta ritornati in patria, l’atteggiamento dell’OSCE appare infondato e ascritto a un disegno politico volto a screditare la Federazione Russa. Dal lato russo, invece, è palese quanto la politica dei doppi standard, che ha contraddistinto in molte situazioni l’Occidente, stia spingendo sempre di più Mosca ad allontanarsi da quelle organizzazioni internazionali che orbitano tra Bruxelles e Washington e ad avvicinarsi per motivi di natura economica e politica, ma anche di sicurezza, a Pechino e Teheran. Una eventualità, quella di un rafforzamento della cooperazione russo-cinese e russo-iraniana, che deve essere presa in considerazione dai Paesi europei visto che la Russia rimane per posizione geografica, risorse naturali, e ampiezza del mercato interno un partner imprescindibile per l’Europa stessa.

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