Gli attacchi cibernetici mostrano i rischi delle valute digitali e del controllo centralizzato. C’è bisogno di un ritorno alle banche comunitarie.

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di Richard Werner

Il prof. Richard A. Werner è docente di Affari Bancari e Finanziari presso l’Università di De Montfort e presidente della Local First Community Interest Company, la quale si impegna a creare imprese comunitarie e banche comunitarie.

Che un attacco cibernetico in Florida causi la chiusura di ottocento negozi in Svezia dimostra che il nostro sistema finanziario è già fin troppo interconnesso e suscettibile ad attacchi, eppure cosa vogliono fare le banche centrali? Imporre una maggiore centralizzazione.
L’azienda informatica Kaseya ha sede a Miami in Florida; nei primi di luglio il suo programma di gestione informatica Virtual System Administrator (VSA) è stato compromesso da alcuni pirati tramite un virus che chiedeva il versamento di 70 milioni di dollari per interrompere e sbloccare il programma. Kaseya rifornisce circa 1.500 clienti in tutto il mondo, secondo Reuters, e, di fronte alla eventualità che ogni cliente possa cader vittima al tentativo di estorsione da parte del programma “REvil”, venerdì 2 luglio ha invitato tutti a spegnere con urgenza i propri sistemi informatici.
Il danno maggiore si è probabilmente registrato a 8.000 chilometri di distanza dalla Florida, in Svezia, dove circa 800 supermercati Coop hanno chiuso i battenti quello stesso venerdì e sono rimasti chiusi per tutto il fine settimana poiché non riuscivano più ad accettare i pagamenti digitali. In Nuova Zelanda, anche scuole ed asili sono stati colpiti. Al 6 luglio, Kaseya non aveva ancora riavviato i propri sistemi informatici.
Siccome la catena dei supermercati svedesi Coop (in svedese, Kooperativa Förbundet) distribuisce generi alimentari, una gran quantità di cibo fresco è stato fatto andare a male proprio nonostante le comunità locali volessero comprarlo. L’impatto dell’evento è davvero significativo: si stima che il gruppo Coop e i suoi relativi punti vendita rappresentino circa il 20% del commercio al dettaglio di generali alimentari in Svezia (dati del 2010). Ma i negozi erano davvero obbligati a chiudere? Storicamente, la Coop si era costituita con molti negozi locali cooperativi e indipendenti, che si sono poi fusi insieme in una grande catena di supermercati cooperativi. I principi cooperativi fondanti della Coop sono il fare affidamento su di sé, il prendersi la propria responsabilità e l’auto-sufficienza. “Prendersi la propria responsabilità significa che i membri si assumono la responsabilità della propria cooperativa, della sua fondazione e della sua vita”, cita il movimento. “(…) significa che i membri si prendono la responsabilità di assicurare che la loro cooperativa rimanga indipendente da altre organizzazioni pubbliche o private”. La chiusura dei suoi 800 negozi ha però dimostrato che la centralizzazione del gruppo Coop aveva tradito i suoi principi cooperativi fondanti.
Cosa si può imparare da tutto ciò? Almeno due cose. Innanzitutto, i principi cooperativi sono saggi e, se le organizzazioni li rispettano, tali organizzazioni saranno resistenti alle crisi ed agli attacchi. L’impressione è che la Coop svedese abbia abbandonato le sue radici cooperative, diventando come tutte le altre cooperative che sono gestite da un livello centrale. Ora ne sta pagando il prezzo. È ironico che i negozi Coop abbiano dovuto chiudere. L’impressione è che i direttori dei negozi locali non fossero in grado di assumersi la responsabilità per il funzionamento dei rispettivi negozi e di tenere i negozi aperti, dando la possibilità ai clienti di pagare in contanti o per lo meno con banconote di credito create ad hoc, cosa che avrebbero potuto emettere (magari chiedendo il permesso di fare una fotocopia delle loro carte di identità o dei passaporti) per permettere la transazione del credito.
Dopotutto, pagare per il tramite di crediti è una pratica comune: quando un negozio detrae fondi dal nostro conto bancario attraverso il sistema di pagamento elettronico, esso ha usato il credito fornito dalle banche, non il denaro ufficiale.
La centralizzazione rende perciò fragili i sistemi. Al contrario, i progetti istituzionali che vogliono creare molte piccole comunità indipendenti, come negozi di alimentari su scala locale, sarebbero molto meno suscettibili ad attacchi di pirateria informatica ed offrirebbero un sistema economico complessivamente molto più stabile e resiliente.
Secondariamente, i sistemi di pagamento digitale gestiti a livello centrale sono più fragili dei sistemi di pagamento decentralizzati che si basano sul denaro contante. È ironico vedere che l’attacco ai sistemi di pagamento digitale si è registrato venerdì 2 luglio 2021, nello stesso momento in cui un centro studi internazionale con origini svedesi, il Renaissance Institute, ha lanciato la campagna “Cash Fridays”, chiedendo a tutti di usare ogni venerdì il contante come mezzo di pagamento, in un giorno e in un’epoca cioè in cui il contante è sempre più marginalizzato – specialmente in Svezia. L’attacco cibernetico dimostra che i pagamenti digitali sono molto meno sicuri ed affidabili del buon vecchio contante.

La fragilità dei pagamenti digitali

La grande fragilità dei pagamenti digitali, dimostrata da quest’attacco informatico, è un tema di grande attualità poiché proprio in questo momento le banche centrali di molti Paesi, tra cui la Svezia e l’Eurozona, stanno lavorando sodo per preparare il lancio del “Central Bank Digital Currencies”. Queste CBDC sembrerebbero essere soluzioni ad alta tecnologia, ma in realtà molte delle loro caratteristiche sono obsolete: pur senza che la maggior parte delle persone ne sia consapevole, stiamo usando le “BDC” (valute digitali bancarie) ormai da decenni, precisamente ogni volta che paghiamo con una carta di credito o di debito o con un bonifico bancario. Questo denaro digitale è semplicemente il saldo del nostro conto bancario: sono saldi di credito che esistono solo in forma digitale. Per ora, le banche centrali emettono solo carta moneta, che rappresenta solo il 3% dell’offerta di denaro in molte grandi economie. Il restante, cioè il 97% dell’offerta di denaro, è moneta digitale bancaria.
In altre parole, le banche centrali vogliono diventare banche nel mercato delle valute digitali. La più grande differenza che vi sarebbe tra i CBDC che la Riksbank e la Banca Centrale Europea vogliono introdurre e il denaro tangibile, è che non sarebbero le banche commerciali ad emettere questa nuova valuta digitale, ma le banche centrali. In altre parole, nonostante il difficile nome di “CBDC”, ciò che sta realmente succedendo è che le banche centrali, pur essendo coloro che dettano le regole alle banche, si stanno preparando ad entrare in competizione con le banche, offrendo conti correnti al dettaglio al pubblico. CBDC significa che è possibile avere un conto corrente direttamente presso la banca centrale. Ciò a cui stiamo assistendo è che le banche centrali hanno stracciato l’accordo secolare che avevano stipulato con le banche, accordo secondo il quale le banche centrali lasciano ogni tipo di affare con il pubblico in generale alle banche, accontentandosi di fare da regolatori. Ciò solleva dubbi circa la possibilità che vi possa essere una concorrenza leale tra i vari giocatori nel caso in cui uno dei giocatori sia l’onnipotente banca centrale e anche sulla possibilità che vi possano essere dei seri conflitti di interesse nel caso in cui il regolatore decida di competere contro coloro che regola. È necessario forse riconsiderare gli ultimi due decenni di politiche monetarie alla luce dell’attuale consapevolezza che le banche centrali vogliono entrare in competizione contro le banche? Ciò potrebbe forse spiegare la ragione per cui le politiche imposte dalle banche centrali hanno ucciso migliaia di banche durante questo lasso di tempo, cioè 4.800 banche presenti nella zona euro dominata dalla sola Banca Centrale Europea?
È evidente che le banche hanno davvero poche possibilità di affrontare una concorrenza così impari lanciata dai loro regolatori: se tutti possono depositare denaro nella banca centrale, allora al primo segnale di crisi economica o finanziaria tutti i depositi bancari si trasferirebbero nella banca centrale. Tale trasferimento dei depositi bancari verso un rifugio sicuro si è effettivamente registrato in Germania nell’ottobre del 2008, quando la crisi finanziaria ha colpito il Nord America e l’Europa. I risparmiatori tedeschi hanno ritirato i loro soldi dalle grandi banche e – leggete attentamente – li hanno trasferiti nelle oltre mille piccole banche comunitarie cooperative locali, che si sapeva essere sicure e che non avevano partecipato alle azioni di speculazione finanziaria su larga scala che avevano causato il crollo di grandi banche in molti Paesi nel 2008. La valutazione dei risparmiatori era corretta: le piccole banche comunitarie, che gestiscono l’80% di tutte le banche in Germania e oltre il 90% di tutti i prestiti fatti alle piccole e medie imprese, non erano state colpite dalla cosiddetta “crisi finanziaria globale” del 2008. Piuttosto, queste banche comunitarie avevano fino ad allora prestato denaro principalmente a piccole imprese locali e all’interno della economia reale. Questi tipi di prestiti richiedono una approfondita conoscenza delle imprese locali e volontà di fare il tifo per loro quando le valutano – qualcosa che le grandi banche non fanno perché ritenuto un lavoro troppo gravoso. Quindi, più grandi sono le banche e meno è probabile che esse prestino denaro alle piccole imprese e anzi sono più inclini a prestare denaro per l’acquisto di beni quali hedge found e fondi di capitale privato.

Banche, bolle, crescite e scoppi

La ragione per cui il prestito finanziario preferito dalle grandi banche per l’acquisto di beni è così pericoloso è dovuto al fatto che, quando le banche prestano denaro, non attingono a dei fondi effettivamente esistenti. Piuttosto, proprio come la più recente ricerca accademica ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, esse sono autorizzate a creare dal nulla il denaro che viene offerto come prestito. La creazione di nuovo denaro genera un impatto su tutte le parti dell’economia. Se un sacco di denaro viene creato per l’acquisto di immobili e di proprietà, ad esempio, i prezzi degli immobili aumentano, ma il PIL non cresce (le transazioni di beni non contribuiscono alla crescita del PIL). In altre parole, il prestito bancario per l’acquisto di beni è la ragione che sta dietro all’aumento delle dimensioni delle bolle finanziarie che precedono le crisi bancarie.
Abbiamo anche imparato che la concentrazione dei sistemi bancari è fonte di rischio: i Paesi con un piccolo numero di grandi banche, come il Regno Unito, tendono a registrare bolle, il loro scoppio e quindi crisi finanziarie. Eppure quando la crisi del 2008 è scoppiata, in Germania la disoccupazione è aumentata di pochissimo e non si è registrata nessuna recessione. E ciò grazie al fatto che in Germania vi sono quasi 1.500 banche comunitarie che dominano il panorama bancario – la maggior parte delle quali sono in realtà cooperative locali indipendenti. Come per gli indipendenti negozi alimentari locali, un settore bancario che si caratterizza per le numerose banche comunitarie locali è molto più resistente ad attacchi e crisi.
In un periodo in cui le politiche delle banche centrali hanno ridotto il numero delle banche in molti Paesi – specialmente negli Stati Uniti e nell’Eurozona (e per fortuna non nel Regno Unito, dove la Banca d’Inghilterra cerca di promuovere la creazione di nuove banche) – la creazione di conti correnti nelle banche centrali per il grande pubblico (CBDC) probabilmente comporterà un’ulteriore concentrazione dei sistemi finanziari e, quindi, una maggiore fragilità. La resilienza deriva dalla capacità di usare il denaro contante e di trattare a livello locale con organizzazioni indipendenti e responsabili. E per questa ragione il recente attacco cibernetico offre un prezioso spunto di riflessione. E ricordate: ogni venerdì pagate in contanti!

Traduzione di Marco Ghisetti
Originale: https://www.rt.com/op-ed/529089-cyberattacks-risks-digital-currencies/

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