Rivoltosi come Star del Jet Set: i media occidentali e le proteste ad Hong Kong

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di Andrea Turi

Le storie giornalistiche non dovrebbero mai avere come protagonista un “bravo ragazzo” e un “cattivo ragazzo” perché, il mestiere del giornalista prevede semplicemente che nel raccontare un qualcosa – non importa cosa nello specifico – si dia spazio a tutte le parti in causa affinché le informazioni che formano la storia siano rese al lettore in modo imparziale. Questa la teoria.

Ma, la realtà dei fatti vuole che quanto più ci si professa fieri sostenitori di una qualsiasi teoria validandone e difendendone i postulati, significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica ed è così che media diventa sinonimo di cattivo giornalismo.

Le vicende di Hong Kong non fanno eccezione.

Aprire un elaborato giornalistico con una immagine non rientra, certo, nei canoni tradizionali della professione ma, talvolta (e questo è il caso), è scelta propedeutica allo sviluppo dell’argomento trattato nell’articolo:

Fonte: With People In The Streets Worldwide, Media Focus Uniquely On Hong Kong – PopularResistance.Org

Bernard Chan sulle pagine del South China Morning Post mette sul piatto due possibili spiegazioni di tale copertura dei media statunitensi (ma i confini del discorso possono essere tranquillamente allargati sino a comprendere i media mainstream a tutto tondo): uno tecnico, legato ai criteri di “notiziabilità”,l’altro che rimanda ad un uso strumentale del racconto mediatico, come se “questeorganizzazioni dei media avessero un ruolo diverso da svolgere”.

I dati rappresentati nel grafico si riferiscono al 2019, anno che può essere annoverato come uno degli “anni di protesta” della “protesta globale”, visto che manifestazioni di ogni genere e portato hanno riempito le strade del mondo: da quelle organizzate dai Gilets Jaunes in Francia a quelle che si sono registrate in Libano, Gaza, Cile, Ecuador e Haiti, manifestazioni e movimenti popolari che hanno coperto le più disparate zone del globo.

I media sono stati sproporzionatamente interessati ad una soltanto: “le proteste di Hong Kong”.

In totale, ci sono state 737 storie sulle proteste di Hong Kong, 12 sull’Ecuador, 28 su Haiti e 36 sul Cile, con rapporti di copertura simili per le due testate prese in considerazione nello studio del portale online Fairness & Accuracy In Reporting (fair.org). Più che di copertura mediatica si può parlare piuttosto di una “ossessione”dei media d’oltre-atlantico per le vicende interne della Regione Amministrativa Speciale della Repubblica Popolare Cinese.

Eppure, secondo il principio di prossimità geografica, negli Stati Uniti dovrebbero essere più interessati a coprire gli eventi che si registrano nel proprio “giardino di casa”, dove si sono verificati disordini di gran lunga peggiori. In Cile, ad esempio, considerata l’economia più sviluppata del Sud America, a ottobre del 2019 sono scoppiate grandi proteste a seguito dell’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici. Almeno 26 persone sono state uccise, diverse migliaia i feriti e oltre 25.000 gli arresti; nel vicino Ecuador, sempre nel mese di ottobre, sono scoppiate proteste contro le misure di austerità imposte dal Governo. Otto i decessi registrati durante le manifestazioni. Nei Caraibi, Haiti ha sofferto per oltre un anno di disordini diffusi a intermittenza in seguito all’aumento delle tasse sul carburante. Migliaia di scuole, uffici e dipartimenti governativi sono stati chiusi per la maggior parte del tempo. Almeno 42 persone sono morte nell’ultima ondata di proteste iniziate a metà settembre; le cose andavano così male che persino la polizia ha iniziato a manifestare contro la bassa retribuzione.

Le grandi società mediatiche, invece, hanno prestato (e prestano) scarsa – se non nulla – attenzione ai tragici eventi in queste parti del mondo; si potrebbe obiettare che Hong Kong riscuote maggior interesse nel pubblico dal momento che nel nostro immaginario collettivo questa città cinese di alto profilo è un’icona internazionale, oltre ad essere un importante centro commerciale con un gran numero di aziende e residenti occidentali, connotazione che la rende più interessante in fase di costruzione dell’agenda setting delle notizie da trattare.

Non si tratta soltanto di prassi giornalistica.

È la geopolitica, bellezza! Come sostenuto negli articoli che hanno preceduto quello che state leggendo, le proteste di Hong Kong sono diventate parte di una storia molto più ampia che afferisce a quello che i media tendono a identificare come “Nuova Guerra Fredda”, vale a dire il crescente attrito politico e commerciale tra la Cina e l’Occidente – Washington in primis; le proteste eterodirette ed etero-finanziate di alcune frange – nel tempo divenute sempre più violente – della popolazione hongkonghiana sono un mezzo per elaborare una campagna mediatica che ha come obiettivo ultimo quello di fare pressione sul Governo di Pechino.

D’altronde, come a ragione sostiene lo storico canadese Matthew Ehret: “Il nuovo rapporto militare del Pentagono sulla Cina pubblicato il 1o settembre ha dimostrato che la mentalità obsoleta e mortale della Guerra Fredda che ha portato una tale distruzione nel mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale non è solo diventata più profondamente radicata nella psiche dei funzionari di politica estera dominanti nel Pentagono, ma ha dimostrato che l’attuale establishment americano è totalmente inadatto a sopravvivere nell’era nucleare odierna”1.

Nella nota iniziale dello studio di Fair si legge che “uno dei segni rivelatori del fatto che le proteste siano fonte di ispirazione, sostegno, manipolazione o creazione degli Stati Uniti è il modo in cui i media aziendali le coprono. Le proteste di Hong Kong sono state coperte come proteste democratiche eroiche quando sono state realmente manipolate dagli Stati Uniti per trasformarsi in violente proteste anti-cinesi”.

Altre domande chiave da porsi per comprendere le proteste sono: Chi ne trae vantaggio? Nel caso di Hong Kong, la manipolazione delle proteste in proteste anti-cinesi ha giocato a favore della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti nel conflitto tra le grandi potenze.

Un altro passo fondamentale per comprendere la legittimità delle proteste è il loro finanziamento.

“È sempre saggio visitare il sito web del National Endowment for Democracy ed esaminare chi stanno finanziando dove si verificano le proteste. Nel caso di Hong Kong, la NED statunitense ha finanziato un movimento anti-cinese da prima del passaggio di Hong Kong alla Cina nel 1997. Milioni di dollari in fondi NED sono andati alla cosiddetta democrazia, diritti umani, media e altrigruppi per creare un movimento di massa anti-cinese. Gli Stati Uniti vogliono che Hong Kong diventi indipendente in modo che possa avere un alleato dall’altra parte della baia dalla Cina, dove può portare le sue navi della Marina o persino avere una base militare”2.

Chi ha avuto la pazienza di leggere gli articoli che hanno preceduto l’attuale non troverà in queste parole niente di nuovo3 e visto che l’obiettivo delle proteste di Hong Kong è il nuovo nemico ufficiale degli Stati Uniti, tutto quello che succede nella HKSAR merita ampiezza e favorevole copertura “con una risolutezza a passo serrato che impressionerebbe qualsiasi sistema di propaganda totalitario”.

Anche il linguaggio con cui gli argomenti vengono trattati risentono di questo compito che i media devono portare avanti: se le manifestazioni di Lima e Quito vengono etichettate come “rivolte e violente proteste”, di coloro che, invece, protestano ad Hong Kong si suole parlare con termini lusinghieri appellandoli come “attivisti per la democrazia”.Come racconta il compianto Andrè Vltchek relativamente alle proteste del 2019 – ma mutatis mutandis il resoconto si potrebbe riferire anche ai tumulti di giugno che hanno seguito l’approvazione dellaleggedi tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong “in un reportage pubblicato sul sito di Rt, canale televisivo satellitare russo diffuso a livello mondiale, conl’emblematico titolo di Western media portrays Hong Kong hooligans as heroes. But are they?, ogni volta che i manifestanti di Hong Kong distruggono la proprietà pubblica, non ci sono telecamere dei media occidentali in vista. Ma quando la polizia decide di intervenire, proteggendo la loro città, i crociati dei media occidentali emergono in piena forza. Domenica, enormi bandiere degli Stati Uniti sventolavano in aria. Una massiccia dimostrazione, composta principalmente da giovani, si stava spostando dalla vecchia zona del centro della città costruita durante il periodo del colonialismo britannico verso il Consolato Generale degli Stati Uniti, spesso erroneamente chiamata ambasciata. La temperatura era ben oltre i 30 gradi Celsius, ma il numero di manifestanti continuava a crescere. Molte delle principali arterie di Hong Kong sono state completamente bloccate. I media occidentali erano lì in piena forza, indossando giubbotti fluorescenti gialli, le loro insegne Press, caschi e maschere. Si sono mescolati con la folla, filmando le bandiere degli Stati Uniti, godendo chiaramente dello spettacolo. Ma la dimostrazione non era dove fosse realmente l’azione e lo sapevo, intuitivamente. La marcia sventolante è stata un grande evento teatrale per i mass media occidentali. Lì, gli slogan a favore della democrazia sono stati intonati in modo ordinato. Nulla è stato bruciato, vandalizzato o smantellato ovunque fossero presenti le telecamere della stampa occidentale! A pochi isolati di distanza, però, ho assistito a mostruosi atti vandalici, da uno degli ingressi della stazione della metropolitana centrale. I teppisti che si definiscono manifestanti hanno rovinato la proprietà pubblica, un sistema di trasporto utilizzato ogni giorno da milioni di cittadini.

Mentre erano lì, hanno anche smantellato ringhiere pubbliche in metallo che separano i marciapiedi dalle strade. Le barre metalliche di questa ringhiera sono state in seguito utilizzate per ulteriori attacchi contro le infrastrutture della città, così come contro la polizia. Ombrelli nelle mani dei manifestanti coprivano la scena del crimine. Ombrelli simili a quelli usati nel 2014, durante la precedente, cosiddetta Rivolta degli ombrelli. Nessun giornalista straniero era in vista! Questo non era per il mondo. Questo era crudo, reale e brutale. Don’t film! Bocche coperte cominciò a gridare contro di me. Continuavo a filmare e fotografare. Non indossavo giubbotti o caschi o insegne della stampa. Non lo faccio mai, in nessuna parte del mondo. Mi hanno lasciato in pace; troppo occupati a distruggere la strada. Mentre stavano smantellando la proprietà pubblica, i loro zaini, imbottiti di lettori portatili, stavano rigurgitando l’inno nazionale degli Stati Uniti. […] Inoltre, e questo devo dirlo chiaramente dopo aver coperto le proteste in letteralmente centinaia di città in tutto il mondo, da Beirut a Lima, Buenos Aires, Istanbul, Parigi, Il Cairo, Bangkok e Giacarta: ciò che sta accadendo a Hong Kong è estremamente mite quando si tratta di risposte della polizia! La polizia di Hong Kong corre bene e velocemente. Ha creato catene umane, lampeggiato molta luce e sporadicamente usato gas lacrimogeni. Si difende quando viene attaccata. Ma la violenza?

Se si confrontano le azioni della polizia qui con quelle di Parigi, è tutta cortesia e morbidezza. Quasi nessun proiettile di gomma. I gas lacrimogeni sono onesti e non mescolati con sostanze chimiche mortali, come in molti altri luoghi, e somministrati in piccole dosi. Nessun cannone ad acqua che sputa liquido pieno di urina ed escrementi, come in molte altre città del mondo. Fidati di me: sono un esperto di gas lacrimogeni. A Istanbul, durante la rivolta del Gezi Park, i manifestanti hanno dovuto usare maschere antigas, così come me. Altrimenti potresti svenire o finiresti in ospedale. La gente sta svenendo anche a Parigi. Nessuno sta svenendo qui; questa è roba mite.

Per quanto riguarda l’altra parte, il livello di violenza da parte dei manifestanti è estremo. Stanno paralizzando la città, rovinando milioni di vite. Il numero di arrivi stranieri a Hong Kong è in calo del 40%. La reception del Mandarin Oriental Hotel, che si trova proprio accanto alle battaglie di domenica, mi ha detto che la maggior parte delle camere sono ora vuote, e durante gli eventi, l’hotel è tagliato fuori dal mondo. E le loro richieste da traditori? Sarebbero accettate in qualsiasi parte del mondo? Sventolare bandiere di un Paese straniero (in questo caso, degli Stati Uniti) e chiedere un intervento? I leader-attivisti pro-democrazia di Hong Kong come Joshua Wong4 sono chiaramente collusi con gli interessi e i Governi occidentali. Lui e altri stanno diffondendo, costantemente, ciò che altrove sarebbe descritto come fake news. Per esempio, La mia città è la Berlino della nuova Guerra Fredda, dichiarò di recente. Sì, forse, ma non a causa del Governo di Hong Kong, ma a causa delle sue azioni e delle azioni di persone come lui. La copertura degli eventi da parte dei mass media occidentali è chiaramente selettiva e questo è un eufemismo. In realtà, molti media europei e nordamericani stanno aggiungendo carburante al fuoco. Stanno incoraggiando i rivoltosi esagerando le azioni della polizia locale. Sto monitorando e filmando il loro lavoro e ciò che vedo è scandaloso! Sto scrivendo questa relazione al Tai Kwun Center. Ora complesso artistico di fama mondiale (della nuova Hong Kong cinese), questa era la stazione centrale di polizia sotto l’occupazione britannica, così come il cosiddetto Victoria Prison Compound.” Il signor Edmond, che lavora per il centro, spiega: “Se ci fosse un referendum ora, i cosiddetti manifestanti non vincerebbero. Perderebbero. Si tratta di una questione interna della Cina, che dovrebbe essere trattata come tale. Una continuazione degli eventi del 2014. Ciò che è cambiato questa volta è che i manifestanti ora optano per la violenza estrema. La gente di Hong Kong ha paura; paura di loro, non delle autorità. La vita a Hong Kong è migliorata. Non velocemente come nelle vicine Shenzhen o Guangzhou, ma è migliorata. Il motivo per cui Hong Kong viene lasciata indietro è a causa delle sue antiquate leggi, regole e regolamenti dell’era britannica, del suo sistema capitalista estremo; a causa di troppo poco di Pechino, non a causa di troppo di esso. Questi teppisti vanno contro gli interessi del loro stesso popolo e il loro popolo li sta ora maledicendo. Non ad alta voce, ancora, come rioters hanno mazze e barre di metallo, ma maledicendoli. I media occidentali scelgono di non sentire queste maledizioni. Ma la Cina lo sa. Si sente. Sento anche la gente di Hong Kong. Le maledizioni cinesi sono terrificanti, potenti. E non si dissolvono nel nulla”5.

Le ultime proteste seguenti l’adozione della “Legge di tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong” come d’altronde le precedenti – si fondano su tre concetti che sono alla base della traiettoria storica e geopolitica di Hong Kong: “sacralità, frontiera e contaminazione”. Come spiega David A. Palmer, docente del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Hong Kong, in un articolo pubblicato sul Journal of Ethnography Theory – questa narrativa mette in luce la fantasia e la costruzione di Hong Kong come uno spazio sacro di civiltà e libertà sul confine tra i mondi del capitalismo liberale dell’Occidente e la Cina Comunista; la sua definizione di altro è la Madrepatria cinese e il Partito Comunista come sorgenti di contaminazionee intrusione. Ci muoviamo in una dimensione dicotomica amico/nemico che per niente si discosta dal discorso del periodo della “Guerra Fredda”, in cui una narrazione globale a favore dei valori democratici incarnati dal mondo occidentale contro il male assoluto dei regimi comunisti che minacciano – allora come adesso – il mondo libero; proteggere la sacralità di Hong Kong e la sua posizione di firewall con la Cina continentale è diventato una tematica critica e di assoluta importanza in certi ambienti liberali occidentali che fanno leva sull’immaginario collettivo ricostruendo strutture retoriche figlie della “Guerra Fredda”, tanto che Washington ha rimesso in piedi il Commitee on the Present Danger incentrandone l’azione sulla minaccia cinese; si legge nella presentazione del sito presentdangerchina.org che: “la missione del Committee on the Present Danger: China è di aiutare a difendere l’America attraverso l’istruzione pubblica e la difesa contro l’intera gamma di pericoli convenzionali e non convenzionali posti dalla Repubblica Popolare Cinese. Come per l’Unione Sovietica in passato, la Cina comunista rappresenta una minaccia esistenziale e ideologica per gli Stati Uniti e per l’idea di libertà, che richiede un nuovo consenso americano riguardo alle politiche e alle priorità richieste per sconfiggere questa minaccia. E a questo scopo, è necessario mettere in campo le capacità, le competenze e le energie collettive di un gruppo eterogeneo di esperti sulla Cina, professionisti della sicurezza nazionale, attivisti per i diritti umani e la libertà religiosa e altri che hanno unito le forze sotto l’egida del Committee on the Present Danger: China6.

Così, sventolando la bandiera a stelle e strisce unita alla Union Jack britannica i rivoluzionari della HKSAR si trovano ad essere la prima linea nel diffondersi globale della paura della Cina e portano avanti un non riflessivo approccio verso il potere imperiale globalizzante delle forze occidentali che hanno designato Pechino come il principale nemico pubblico da combattere e contenere. L’intensità e la violenza delle loro espressioni è amplificata dalla combinazione di esperienza viscerale nelle strade e l’incoraggiamento globale sui media e nelle camere d’eco online. Qualsiasi cosa venga associata a Pechino o al Partito Comunista Cinese è equiparato ad un inquinamento mortale. Le forze di polizia sono ritratte in meme come assassini sanguinari, infiltrati dagli ufficiali provenienti dalla Madrepatria, che eseguono massacri e genocidi sulla popolazione di Hong Kong. Qualsiasi gruppo o istituzione che agisce o persino parla contro chi protesta diventa contaminato7.

La rappresentazione agiografica dei leader delle proteste di Hong Kong fa da contraltare alla descrizione delle azioni delle forze di polizia nella città; durante le proteste, i cittadini di Hong Kong sono stati testimoni di intensi e disturbanti livelli di violenza, intolleranza, propaganda e xenofobia anti-cinese che hanno contribuito ad instaurare un clima di paura e rabbia crescente. I più di coloro che manifestano contro la “Legge di tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong” hanno abbandonato le linee guida del “Manuale di Disobbedienza”8redatto dal movimento Occupy Central with Love and Peace, per abbracciare quelle della teoria della violenza marginale, che si riassume in un uso aggressivo delle tattiche non-violente per provocare una risposta aggressiva da parte della polizia; ad Hong Kong, recentemente la violenza non è stata marginale:gli attivisti pro-democratici si sono messi in luce per l’aver alzato barricate e interrotto vie di comunicazione, per aver vandalizzato negozi e aver lanciato mattoni e molotov alle forze di polizia e aver praticato forte resistenza all’arresto. Le proteste si sono, dunque, mosse nello spettro d’azione delle tattiche dei gruppi black bloc, sviluppatesi negli anni ‘70 in Germania durante le proteste antipolizia e riprese recentemente dal movimento dei Gilets Jaunes francesi, queste includono “un’organizzazione decentralizzata orizzontale, i protestanti vestono abiti di nero e maschere per nascondere la propria identità, vandalismo mirato e vetrine sfondate, manifestazioni senza autorizzazione, costruzione di barricate, produzione e lancio di bombe Molotov, resistenza alla polizia”9.

Più di 2.000 feriti tra civili, pubblici ufficiali di polizia, reporters e manifestanti; più di 500 ufficiali di polizia feriti in seguito ad attacchi effettuati con pericolose e talvolta mortali armi come archi, frecce, bombe di benzina e sostanze corrosive; danni per più di 1.250 attività commerciali e bancarie e 150 stazioni metropolitane; oltre 3.100 gli episodi di doxxing10perpetrati ai danni di ufficiali di polizia e delle loro famiglie; questo è quanto lasciano sul campo le proteste pro-democratiche hongkonghiane alla luce del rapporto Behind The Truth redatto da sezione della HKSAR della International Police Association nel 2020, al fine di provvedere a fare chiarezza sugli eventi che hanno scosso la città e sull’operazione di polizia Tiderider. L’attività della polizia è stata spesso al centro di online rumors e di ripetute fake news e falsi resoconti che hanno contribuito a spargere la disinformazione per ingannare il pubblico e sventare gli sforzi della polizia: “oltre alla violenza fisica – si legge nel documento – la disinformazione è stata usata come arma durante le proteste con i protestanti più radicali che hanno usato i media, i social media e altre piattaforme internet per diffondere maliziose dicerie e disinformazione, per seminare i semi delle lamentele della società e per calunniare la Polizia. Queste voci erano caratterizzate da due tratti comuni: l’anonimato e l’inconsistenza”11.

Le proteste, quindi, hanno portato Hong Kong nel caos e creato una situazione snervante per la popolazione e non solo. “La polizia di Hong Kong non sta soltanto combattendo una violenza fisica ma anche la nozione di fondo di un’accettazione dell’illegalità nella società poiché alcuni rivoltosi e altri nella comunità sostengono che infrangere la legge per forzare i loro cosiddetti ideali è accettabile e giustificabile. Gli ideali democratici – indicati come alla base delle loro cinque domande – hanno affrontato a lungo una violenza temeraria e spietata contro persone e proprietà, con conseguente grave erosione della libertà di tutti gli altri nella società di Hong Kong, l’esatto opposto di quello per cui i rivoltosi affermano di stare combattendo. Fino ad oggi, 7.600 persone sono state tratte in arresto ma nessuna morte è stata collegata alle azioni di polizia. Questo dimostra che i poliziotti sono stati estremamente qualificati nell’uso della forza di fronte a un numero crescente di attacchi mortali”12.

Attacchi e proteste che i media mainstream continuano a descrivere come leaderless – senza leader – e spontanei, ma questa visione rischia di essere molto lontana dalla verità, sempre che questa esista in qualche luogo.

C’è, piuttosto, un enorme coordinamento, pianificazione ed esecuzione meticolosa dietro le quinte di quanto accede nelle strade. Un servizio trasmesso dalla inglese BBC risalente al 201413, ad esempio, informava che – nel corso della tre giorni annuale organizzata dall’Oslo Freedom Forum – in uno scantinato di hotel a quattro stelle, “gli attivisti per i diritti umani vengono in quella che sembra un po’ una scuola per la rivoluzione. Questo seminario – come assicurarsi che il tuo messaggio, sia che si tratti di Egitto, Ucraina, Hong Kong, Cina, Corea del Nord, prenda piede – può non evocare lo spirito delle barricate, ma l’insegnamento qui è avere successo, rovesciare un Governo per sempre. Devi essere organizzato e pianificare, meticolosamente. Gli attivisti qui sonostati coinvolti nell’aiutare a organizzare le proteste in corso a Hong Kong. Il loro piano per mettere migliaia di persone per le strade del territorio è stato infatti covato quasi due anni fa, questi sono ancora l’unica speranza”.

A riguardo, c’è chi ha aggiunto che “gli organizzatori avevano preparato un piano per dispiegare 10.000 persone nelle strade, per occupare strade nel centro di Hong Kong, nel gennaio 2013. Credevano che le mosse della Cina per controllare le elezioni di Hong Kong avrebbero fornito un punto di infiammabilità in cui la disobbedienza civile poteva essere efficace, e pianificata di conseguenza. […] Pertanto, è altamente possibile che migliaia di manifestanti anti-estradizione siano stati addestrati nel 2017 o addirittura nel 2018 per prepararsi all’attuale protesta anti-estradizione”14.

Per quel che concerne, invece, la tesi della spontaneità del movimento e di una mancanza di un’organizzazione pianificata on the ground, dense di significato sono le parole di due degli attivisti impegnati attivamente nelle proteste nelle strade della città rilasciate ai microfoni della piattaforma WeareChange.org15: “Il livello di organizzazione presente tra questi manifestanti è sorprendente. Hanno una gerarchia di ruoli, i loro manifestanti in prima linea fanno la maggior parte delle battaglie lanciando i lacrimogeni; c’è del personale di supporto di seconda linea che lavora per montare i lacrimogeni; c’è gente il cui lavoro è puramente di comunicazione. Ci sono persone che stanno in prima linea, ci sono medici di prima linea e medici generali all’interno della divisione medica che sono nella parte anteriore; curano le ferite e curano le persone colpite dai gas lacrimogeni e ci sono medici, che si tengono più indietro, che hanno cercato di aiutare i civili. E c’è anche il personale logistico che porta acqua, cibo, maschere facciali e maschere antigas per tutti. In aggiunta a ciò ci sono anche civili che agiscono come osservatori in giro, non si vestiranno di nero, sembreranno soli come chiunque altro. Sugli strumenti utilizzati, le mappe in tempo reale sono ridicole perché stabiliranno una planimetria di qualsiasi area di protesta sia in corso, e avranno una piccola leggenda[…] La stessa cosa vale per la presenza delle forze dell’ordine […], ci saranno frecce per il movimento, ci saranno icone diverse per dove c’è un punto di ristoro dove è sicuro riposare con le modalità di fuga in modo che non siano bloccati e stanno facendo tutto questo su Telegram. Molte volte, decidono quale azione intraprendere tramite il voto su Telegram, è qualcosa di cui ho sentito parlare. Sicuramente qualcosa che è totalmente diverso da quello che abbiamo visto finora”.

Questo dimostra come nelle proteste che sconvolgono la quotidianità della HKSAR non sono soltanto i media tradizionali a svolgere un ruolo di primaria importanza ma anche i social media e le applicazioni di messaggistica istantanea – come appunto Telegram – che forniscono mezzi organizzativi prima sconosciuti e un nuovo mezzo per recepire le informazioni.

La spettacolarizzazione delle proteste fa il resto: “amplificato dai media, infatti, lo spettacolo talvolta è più performante e utile delle rivolte stesse; per questo, le rivoluzioni colorate sono accuratamente sceneggiate, dirette e coreografate. I movimenti di protesta dal basso, quelli genuini che si battono per un cambiamento sociale e una giustizia economica non arrivano mai ad avere la visibilità mediatica e la promozione accordata, invece, a quelli artificiali e ingegnerizzati che ripetono in modo perseverante e a pappagallo la retorica dei movimenti rivoluzionari mentre, in realtà, gettano le basi per la formazione di un Governo fantoccio agli ordini di interessi stranieri”16.

Ottenendo il riconoscimento e l’attenzione dei media – sia locali che stranieri – le manifestazioni sono cresciute in scala e ferocia; iniziata come una protesta su scala locale, il movimento di Hong Kong ha dilagato mediaticamente in Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Ottenendo il sostegno globale, le manifestazioni hanno anche ottenuto grande attenzione da parte dei media. Interessante, a tal proposito, la riflessione del britannico Tom Fowdy, un analista delle relazioni politiche e internazionali laureato alle università di Durham e Oxford, che sostiene come in molte occasioni i media occidentali hanno risposto agli eventi di Hong Kong con una narrazione che ha favorito in modo palese i manifestanti; le scelte dei titoli e delle parole e l’enfasi del racconto sono orientati ad articolare “l’assunto che i manifestanti siano semplicemente vittime innocenti – giustificate nelle loro attività – che sono soggette a eccessiva brutalità da parte delle autorità, le quali agiscono come fanno soltanto perché rappresentano un regime autoritario che vuole reprimere la ribellione nel territorio. Pertanto, i manifestanti non possono sbagliare. Sebbene il pregiudizio dei media a favore dei manifestanti non sia ovviamente nuovo, è necessario attirare l’attenzione sulle strategie di questi attivisti per ottenere tale copertura”.

Riconoscendo che i media occidentali sono prevenuti a loro favore e, a loro volta, stanno cercando di impostare una narrativa basata sulla dicotomia bene – male (autorità violente contro manifestanti che si muovono nel giusto) “i manifestanti stanno cercando di causare il massimo disturbo alle aree mirate, sapendo che la polizia dovrà rispondere con la forza per ripristinare l’ordine pubblico, che viene poi utilizzato per affermare che sono stati soppressi. Prima di tutto, perché i media internazionali sono così prevenuti a favore delle proteste di Hong Kong? Ci sono molte ragioni in gioco, ma la situazione dovrebbe essere compresa principalmente attraverso l’egemonia del pensiero liberale occidentale che è per natura ipocrita, integralista ed evangelista. Le eredità del cristianesimo e della filosofia greca hanno effettivamente creato una nozione metafisica di universalismo, cioè la convinzione che la loro religione/ideologia deve applicarsi a tutti, che ogni altro sistema di valori è inferiore e un prodotto della tirannia umana. Coloro che ce l’hanno, possiedono la verità e dimorano in uno stato di auto-illuminazione. Chi non lo sa è ignorante, malvagio e arretrato, un problema da risolvere. Pertanto, all’antenato della verità viene assegnato il diritto esclusivo di predicare e convertire gli altri ai suoi valori di conseguenza, interpretando successivamente la politica mondiale in un semplice binario bene contro male17.

Il pensiero unico, quindi, richiedere di prendere una parte, di schierarsi e fare il tifo per una sola parte – quella concessa dalle élites – inibisce qualsiasi tipo di obiezione a quanto raccontano le immagini e lo storytelling mainstream e chi osa metterne in discussione le incongruenze viene tacciato come qualcuno cui è stato fatto il lavaggio del cervello da parte delle autorità di Pechino.

Per la crisi di Hong Kong, questa mentalità ha chiare implicazioni. “Poiché qualsiasi cosa a favore del liberalismo è considerata come verità e giustizia indiscutibile, per logica nulla di ciò che fanno gli attivisti di Hong Kong può essere sbagliato, poiché la distinzione ontologica tra bene e male nelle proteste possiede per la mente occidentale un taglio molto chiaro. […] Molti attivisti di Hong Kong lo riconoscono. Sanno che qualunque cosa accada, i media occidentali creeranno una narrativa altamente sensazionalistica orientata a loro favore. Pertanto, la loro strategia negli ultimi tempi non è stata tanto quella di protestare direttamente contro le autorità di Hong Kong, ma di usare come arma i media occidentali per ottenere il sostegno internazionale alla loro posizione. Come lo fanno? Facendo le vittime. […] I manifestanti resistono, risultando nell’opinione pubblica come una forza moderata (che è rispecchiata dalla polizia nella maggior parte dei Paesi occidentali). Questo naturalmente viene poi trasmesso dai giornalisti in un racconto di repressione e brutalità della polizia contro cui si scontrano manifestanti onorevoli”. Ciò che gli attivisti hanno effettivamente fatto per ottenere questo risultato viene minimizzato e ignorato.

Questo è tratto peculiare della contemporaneità, un universo in cui è l’iperrealità teorizzata da Jean Baudrillard ad essere dominante, la realtà è sostituita da false immagini a tal punto che non si può più distinguere tra il reale e l’irreale; luogo in cui fatti e dati in grado di riflettere sull’essenza e la natura mutevole degli eventi sono estremamente a corto di informazioni, soprattutto nella galassia di coloro che le informazioni dovrebbero quantomeno fornirle al fine di decifrare le dinamiche che governano il mondo attuale e che ci sorpassano a gran velocità prima che ne possiamo cogliere appieno le traiettorie; oggigiorno, il racconto pubblico dei fatti non corrisponde quasi mai alla realtà dei fatti, le fake news e il cattivo giornalismo sono l’antitesi della libertà dei media e sono un’autentica minaccia al fiorire della democrazia in un Paese; stando a questo ragionamento, la battaglia in favore della democrazia da parte dei rivoltosi di Hong Kong è qualcosa di già sfiorito prima di sbocciare, l’inverno piuttosto che una primavera (magari immaginata sul modello arabo).

Certamente l’informazione è pregiudiziale per sua natura, saremmo ipocriti ad ammettere e sostenere il contrario, ma il problema nasce quando il pregiudizio si pone come volontà, quindi come atto sistematico e volontario teso a ledere l’immagine internazionale di un Paese e minarne la stabilità interna. “Dall’estate del 2019 va in scena a Hong Kong un dramma dal vivo di rivoluzione colorata, durante il quale i media stanno facendo una profonda impressione. Alcuni media di Hong Kong e dell’Occidente hanno svolto pienamente il loro ruolo nella definizione dell’agenda e nel controllo dei contenuti e modellando efficacemente il flusso di informazioni sia sui media tradizionali che con quelli nuovi. Una tipica rivolta di strada è stata confezionata come un movimento non violento e di non-cooperazione e una lotta democratica, che è abbastanza commerciabile in Occidente. Quei media di parte, con il ruolo di guardiani della porta nella rivoluzione colorata, stanno mettendo il loro pubblico che si fida di loro, di sé stessi e della struttura politico-socio-economica in cui si trovano, in un pericoloso bozzolo di informazioni. Il pubblico in un tale bozzolo può accedere solo a informazioni in linea con una particolare ideologia e vedere i fatti che sono stati filtrati e adattati. Il ruolo speciale dei media, in particolare dei media occidentali, ha origini storiche profonde. Durante la Guerra Fredda, i principali media occidentali agirono volontariamente come guardiani dell’interesse nazionale, vendendo l’ideologia liberale occidentale al blocco sovietico. Hanno collaborato con le agenzie diplomatiche e di intelligence dei Paesi occidentali per svolgere operazioni sovversive segrete, una modalità operativa tacita.

Dalla fine della Guerra Fredda, il meccanismo operativo della rivoluzione colorata, costituito da organizzazioni non governative, reti di azione transnazionale, media tradizionali e nuovi media, ha svolto un ruolo nell’istigare rivoluzioni colorate in molti Paesi e regioni tra cui Jugoslavia, Egitto, Libia e Siria. La collusione tra poteri egemonici e oligarchie dei media ha svolto un ruolo cruciale in questo processo. Per il Paese egemonico, la cooperazione volontaria tra i media tradizionali e i nuovi, in particolare nello screening delle informazioni e nella censura dei contenuti, ha fornito un supporto significativo alla propria strategia diplomatica. Per le oligarchie dei media, unire le mani al potere egemonico può aiutare la loro espansione nel mercato globale dei media. Tale meccanismo di collusione è sottile, sofisticato e pericoloso.

I relativi media hanno dimostrato pienamente le possibili modalità operative durante i disordini a Hong Kong. In primo luogo, i resoconti dei media occidentali hanno filtrato i fatti. Nelle rivolte di strada, i giornalisti occidentali si sono schierati dalla parte della folla, hanno orientato l’obiettivo nella direzione desiderata e poi hanno rilasciato i video o le immagini tramite piattaforme multimediali, creando un ambiente informativo filtrato, in cui tutte le informazioni pubblicate sono state censurate. I proprietari di piattaforme di social media collaborano con tale censura, sotto la pressione politica e le esigenze ideologiche dei Paesi europei e degli Stati Uniti.

In secondo luogo, il rapporto, l’analisi e il commento dei media tradizionali occidentali o dei social media si concentrano su fatti filtrati, invece di ciò che sta realmente accadendo. Coloro che stabiliscono i criteri per filtrare i fatti collaborano per raccontare storie basate su informazioni selezionate. Pubblicando su piattaforme multimediali monopolizzate, le informazioni soggettive sono state riportate e trasmesse come oggettive, razionali e neutre.

In terzo luogo, questi media collaborano con agenti per impadronirsi e aumentare costantemente la loro influenza politica. Dopo la Guerra Fredda, i principali media occidentali hanno compiuto sforzi per promuovere e diffondere ripetutamente la rivoluzione colorata nelle regioni non occidentali, in modo da espandere, intensificare e consolidare il proprio potere nel discorso. Questi sforzi derivano dalle continue richieste delle oligarchie dei media monopolizzati di realizzare profitti. Studiosi senza scrupoli e organi di stampa irresponsabili si sono offerti volontari come agenti dei Paesi europei e degli Stati Uniti, al fine di perseguire i loro profitti a breve termine. L’ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton, che ha tenuto conferenze al mondo sulla cosiddetta libertà di Internet, il 13 agosto ha twittato che Possiamo tutti essere solidali con il popolo di Hong Kong mentre si pronuncia a favore della democrazia, della libertà dalla repressione, e un mondo che desiderano vedere. Un netizen ha risposto che No, per favore. L’ultima volta che sei stata solidale con gli altri, Libia, Siria, Iraq, Yemen … sono stati tutti rasi al suolo. È fondamentale svegliarsi dai sogni creati dai media mainstream occidentali. La pratica di questi media che partecipano attivamente alla rivoluzione colorata sarà alla fine scartata dalla storia. Questa tendenza non può essere fermata da nessuna forza”.

Il congedo dal lettore ha il tono di queste parole riportate da Alexandra Sofine: “sono rimasta sorpresa dalla discrepanza: il ritratto di Hong Kong da parte dei media non coincideva con la vita locale che stavo osservando. In qualità di specialista in scienze politiche alla Columbia University, ho subito pensato ai pregiudizi dei media. Le piattaforme dei social media e i media internazionali hanno fornito opinioni opposte sull’intensità delle proteste, confondendo milioni di persone nel processo. È interessante notare che i media di Hong Kong, cinesi e americani mostrano prospettive contrastanti delle manifestazioni, offuscando i confini tra la credenza e la realtà. […] Passeggiando per Shing Wong Street con la mia macchina fotografica, sono stata incorporata nella vita quotidiana locale. Persone che sorridevano, urlavano, vendevano, ma niente urla e violenza. La lettura dei disordini sulla carta ha formato la mia opinione su Hong Kong, tuttavia vivere l’esperienza ha parlato più forte di mille parole, cambiandola completamente. Leggere le notizie mi ha fatto associare Hong Kong al terrore e alla violenza, mentre in realtà la città era viva e vibrante. Le ho chiesto come fosse, vivere in città tra le proteste. Con una faccia cupa, ha risposto, terribile, terribile, non chiedere! Hanno cancellato [il festival musicale] Clockenflap e le vacanze. A parte questo, è andato tutto bene… Mentre ero estremamente contento che la regione fosse più sicura di quanto rappresentato, ho iniziato a mettere in dubbio la legittimità del giornalismo internazionale. È sicuro fidarsi dei media?”18

NOTE AL TESTO

1Two Paradigms Clash: U.S.-China-Russia Partnership that Won WW2 or Hellish Plunge Into WW3, “Covert Geopolitics”.

2 Il link al sito fair.org è corrotto e non raggiungibile, rimandiamo quindi all’articolo ripubblicato da PopularResistance.org, With People In The Streets Worldwide, Media Focus Uniquely On Hong Kong – PopularResistance.Org.

3 Confronta con Le ingerenze straniere nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong – Centro Studi Eurasia Mediterraneo (www.cese-m.eu) e .Un anno di proteste nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. La catena dei finanziamenti esteri e gli scopi – Centro Studi Eurasia MediterraneoCentro (www.cese-m.eu)

4 Il 29 novembre 2020, Joshua Wong è stato arrestato ancora una volta con l’accusa di “assembramento illegale”.

L’attivista di Hong Kong Joshua Wong – si legge su Ansa.it – è stato rilasciato su cauzione qualche ora dopo l’arresto per aver partecipato ad una “manifestazione illegale” nell’ottobre del 2019 e aver indossato una mascherina. Cfr. “Hong Kong: arrestato attivista Joshua Wong” – Asia – ANSA.

5 Western media portrays Hong Kong hooligans as heroes. But are they? — RT Op-ed

6 Committe on the Present Danger: China

7 David A. Palmer, Black Bloc against Red China: Tears and Revenge in the trenches of the New Cold War in Journal of Ethography theory, vol. 10, n. 2, pp. 325 – 332.

8 OCLP – Manual of Disobedience.

9 David A. Palmer, op. cit.

10 Il termine doxing, o doxxing, si riferisce alla pratica di cercare e diffondere pubblicamente on-line informazioni personali e private (come ad es. nome e cognome, indirizzo, numero di telefono etc.) o altri dati sensibili riguardanti una persona, di solito con intento malevolo.

11 The International Police Association (IPA), Behind the Protests. The Truth of Hong Kong, p. 49

12 Ibidem, p. 63

13 https://videopress.com/v/8L9u35jA

14 Hong Kong protesters trained at Oslo Freedom Forum before anti-extradition protest, past speakers include Denise Ho, HK singer and political activist and Al Qaida affiliated White Helmet, Raed al-Saleh, “Dimsum Daily”.

15 https://videopress.com/v/W8ezR6O8

16 REVOLUTION GAMES OF OUR TIME. From the screen to the streets… and back, by Laura Ru, Dec, 2020, Medium.com.

17How Hong Kong activists play the Western media – CGTN.

18 Protests in Hong Kong: Media’s Portrayal Versus Firsthand Experience, “theglobepost.com”.

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