Michele Geraci: “La Nuova Via della Seta serve agli interessi nazionali”

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Nel bel mezzo delle polemiche lanciate dagli ambienti atlantisti italiani ed europei, il Sottosegretario all’Economia Michele Geraci ha egregiamente spiegato in un breve intervento presso Regione Lombardia gli aspetti più controversi dell’intesa commerciale e culturale con la Cina che dovrebbe essere firmata, alla presenza dello stesso Presidente Xi Jinping, il prossimo 22 marzo.

Il convegno organizzato il 13 marzo da Movisol e al quale ha partecipato anche Helga Zepp-LaRouche, ha contribuito a dissipare tanti luoghi comuni sul “pericolo giallo” instillati dai media mainstream su volere degli ambient Neo Cons degli Stati Uniti (curiosamente alleatisi con i Democratici USA riguardo questo dossier), i quali temono la messa in crisi dell’architettura geopolitica atlantista.

La relatrice ha spiegato in particolare le opportunità per le imprese italiane in Africa – un continente al cui sviluppo la Cina ha riservato per ora 400 miliardi di dollari – grazie all’accordo di cooperazione con Pechino già siglato dal Governo Conte.

Tutti i Paesi che sono stati coinvolti finora nella Nuova Via della Seta ne ammettono i benefici e ne esaltano la convenienza rispetto a quando si trovavano dipendenti dalle politiche finanziarie del Fondo Monetario Internazionale.

La Cina non si vuole sostituire agli Stati Uniti ma intende costruire un nuovo sistema internazionale basato sui principi di sovranità e non ingerenza negli affari interni degli Stati.

L’influenza cinese sarà importante anche per recuperare la migliore eredità culturale europea (quella del Rinascimento, della filosofia tedesca, dell’école polytechnique ecc.); il confucianesimo parla di armonia tra le nazioni ed educazione estetica della popolazione (“pulizia della mente”), meritocrazia e bene comune.

Ma la relazione più attesa era ovviamente quella del Prof. Geraci, che ha diviso per punti il suo discorso:

1) L’importanza della Belt and Road Initiative per l’interesse nazionale sarà quella di favorire le imprese italiane che si trovano lungo il suo percorso. E’ necessario perciò avvicinare i due blocchi economici, Europa e Asia, sfruttando la vocazione dell’Italia alle esportazioni: il loro aumento in Cina può farci guadagnare subito un punto di PIL. La firma del Memorandum of Understanding sulla BRI avverrà mettendo al riparo le nostre aziende da meccanismi predatori.

2) Screening difensivo. Tutti i Paesi che compiono acquisizioni in Italia devono dirottare i flussi di investimento verso operazioni di greenfield production, le quali consentono all’impresa rilevata di entrare nel mercato in cui già opera l’impresa acquirente. Al fine di salvaguardare le aziende da acquisizioni tout court che ne metterebbero a rischio l’ancoraggio al territorio, oltre al rafforzamento del Golden Power (prerogativa del Presidente del Consiglio e non di Geraci come erroneamente alluso in alcuni articoli), si valuta di fissare la soglia massima del 30% nella vendita delle imprese strategiche.

3) Il meccanismo di protezione delle imprese approvato a Bruxelles è invece un semplice scambio di comunicazioni e informazioni tra Paesi stranieri in caso di acquisizioni rilevanti ma il parere della Commissione dell’Unione Europea non è vincolante né efficace. Le preoccupazioni della UE al riguardo della firma del MOU con la Cina sono perciò risibili.

4) La cooperazione tra Italia e Cina non riguarderà solo i porti di Trieste, Venezia e Genova ma si allargherà al Sud d’Italia. Il nostro Meridione, pur essendo il terminale terrestre dell’Europa al centro del Mar Mediterraneo, soffre da decenni una crisi economica che sembra irrisolvibile. Grazie alla BRI (e alla collaborazione avviata dal Governo Conte anche con il Giappone) il Sud d’Italia può divenire il terminale finale della Nuova Via della Seta, un hub infrastrutturale, tecnologico ed energetico per chi vuole investire in Africa.

5) Dopo il varo del Piano Made in China 2025 è necessario confrontarsi costruttivamente con la concorrenza commerciale che arriva dall’Oriente. I due sistemi manifatturieri, quello italiano e quello cinese, sono molto simili, per cui bisogna sfruttare il potenziale di questo immenso progetto cooperandovi ma senza piegarsi (sull’esempio dei mulini). Le fake news non aiutano in tal senso … il Governo non venderà alcun porto italiano, a Trieste i cinesi pagheranno all’Italia una quota per avere un molo in più e investiranno per aumentarne la sua capacità produttiva (il precedente del Pireo, che è divenuto grazie ai cinesi il 2° porto più importante del Mediterraneo, è indicativo in tal senso). La Cina già oggi possiede circa il 15% della capacità portuale di tutta Europa, essendo presente nei porti di Amburgo, Said, Haifa, Malta, Rotterdam, Valencia, Marsiglia, Anversa ecc. per cui le polemiche su questo argomento risultano davvero sterili.

Stefano Vernole

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