TPP e TTIP

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The European Union Delegation to the United States hosted a celebration event to mark Croatia's Accession to the EU at the Delegation's headquarters on July 1, 2013 in Washington, DC. (Photo by MomentaCreative.com)
The European Union Delegation to the United States hosted a celebration event to mark Croatia’s Accession to the EU at the Delegation’s headquarters on July 1, 2013 in Washington, DC. (Photo by MomentaCreative.com)

Vantaggi e svantaggi, cause ed effetti, dei due accordi con cui gli Stati Uniti intendono isolare la Cina e la Russia.

Gli accordi

Il 5 ottobre 2015 i rappresentanti di dodici Paesi asiatici e americani hanno firmato il Partenariato Trans-Pacifico (TPP, dall’inglese Trans-Pacific Partnership). Si tratta del più vasto accordo regionale di libero scambio mai raggiunto: riguarda economie che valgono quasi 30 mila miliardi di dollari di PIL annuo, il 40% di quello mondiale ed un terzo del commercio internazionale. L’accordo è stato siglato dopo più di cinque anni di negoziazioni, ma deve ancora essere ratificato dalle singole nazioni (USA, Canada, Giappone, Australia, Brunei, Cile, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam). E’ prevista entro la fine del 2016, invece, la conclusione dell’accordo “gemello” al TPP, ovvero il TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership). Quest’ultimo dovrebbe creare una zona economica uniforme tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, eliminando le tariffe e le barriere non tariffarie che attualmente ostacolano il libero commercio tra le imprese europee e quelle statunitensi.

Vantaggi e svantaggi

Secondo i negoziatori i due accordi, sostanzialmente speculari, agevolerebbero gli scambi commerciali, promuoverebbero la concorrenza (con il conseguente abbassamento dei prezzi) e aumenterebbero il reddito medio dei cittadini nelle zone interessate. In generale, infatti, i trattati di libero scambio sono ben visti dalla teoria economica: se ogni Paese si specializzasse nella produzione di ciò che è in grado di fare meglio e comprasse il resto dagli altri Paesi, aumenterebbe la produzione, diminuirebbero i costi e, di conseguenza, anche i prezzi. Per questo motivo chi appoggia il TPP ed il TTIP, in virtù dell’abbattimento delle barriere in favore del libero scambio, prevede un aumento delle esportazioni, una riduzione del costo delle importazioni e un aumento del PIL dei Paesi firmatari. Tuttavia, queste previsioni non sono da considerarsi necessariamente veritiere, soprattutto se si considerano gli effetti sul lungo termine. Studiando il TTIP, ovvero l’accordo che riguarda USA ed UE, Jeronim Capaldo, econometrico con l’Organizzazione internazionale del lavoro di Ginevra nonché ex membro del Gruppo di previsione economica dell’ONU, sostiene che “in teoria il TTIP dovrebbe portare a una maggiore integrazione delle due economie (o ventinove: le ventotto europee più l’americana). In pratica, ammettono i suoi stessi sostenitori, l’aumento del commercio transatlantico avverrebbe a scapito di quello intraeuropeo. L’accordo finirebbe dunque per portare a una maggiore integrazione con gli Stati Uniti, ma a una minore integrazione fra i paesi UE. In vista della quale i cittadini europei hanno fatto tanti sacrifici”.

Gli effetti a lungo termine del TTIP

Esportazioni nette, %PIL

Crescita PIL, differenza%

Occupazione, unità

Reddito da lavoro dipendente, EURO/dipendente

Imposte nette, %PIL

Rapporto occupazionale, differenza %

USA

1.02

0.36

784000

699

0.00

-0.97

UK

-0.95

-0.07

-3000

-4245

-0.39

0.01

Germania

-1.14

-0.29

-134000

-3402

-0.28

0.75

Francia

-1.90

-0.48

-130000

-5518

-0.64

1.31

Italia

-0.36

-0.03

-3000

-661

0.00

0.02

Altri del Nord Europa

-2.07

-0.50

-223000

-4848

-0.34

1.33

Altri del Sud Europa

-0.70

-0.21

-90000

-165

-0.01

0.33

Totale

-583000

Fonte: tabella 4 https://ase.tufts.edu/gdae/Pubs/wp/14-03CapaldoTTIP.pdf

I presunti vantaggi economici sbandierati dai negoziatori possono essere quindi fuorvianti: favoriscono senza dubbio le grandi aziende multinazionali (meno costi e tariffe), ma non è detto che abbiano un effetto positivo sulle economie dei Paesi, in particolare quelli europei.

Come detto il TTIP mira a ridurre quanto più possibile le barriere tariffarie e non tariffarie tra USA ed UE. Mentre le barriere tariffarie, ovvero i dazi che si pagano alle frontiere, sono già molto ridotte tra Stati Uniti ed Unione Europea (di solito inferiori al 3%), quelle non tariffarie sono numerose e molto significative, e la loro abolizione o riduzione è l’aspetto economico più importante del TTIP (la questione delle barriere tariffarie è piuttosto rilevante, invece, nel TPP, cui aderiscono tre continenti con una grande difformità di dazi doganali). Le barriere non tariffarie fondamentalmente sono: gli standard tecnici dei prodotti e i regolamenti che presiedono alla loro produzione, spesso molto diversi fra USA ed UE (per questo motivo varie merci made in USA non sono accettate nell’UE e viceversa); le barriere sugli investimenti; e qualsiasi legge o normativa che possa influenzare il libero commercio di un prodotto o di un servizio. Generalmente, gli standard europei sono molto più rigorosi nella protezione dell’ambiente e della salute rispetto a quelli americani. La deregolamentazione delle barriere non tariffarie danneggerebbe il consumatore, che potrebbe consumare inconsapevolmente organismi geneticamente modificati o carni imbottite di ormoni e provenienti dagli allevamenti statunitensi, dove gli animali vivono in condizioni molto peggiori.

Inoltre, oltre all’aspetto economico, va considerato anche quello politico. Chi si oppone agli accordi sostiene che i due progetti potrebbero indebolire significativamente i processi democratici decisionali a vantaggio delle multinazionali. Infatti, nelle intenzioni di chi sta elaborando i trattati, le aziende avrebbero il diritto di portare ogni disputa davanti a un tribunale di arbitrato internazionale. In poche parole, ogni volta che un Paese firmatario dovesse adottare una legge o una norma per la tutela dell’ambiente o dei consumatori, si esporrebbe ad una vertenza degli investitori privati. Tutto ciò prima che le eventuali regolamentazioni venissero votate dai vari parlamenti nazionali, in modo da verificarne la conformità al TTIP.

Lo stesso vale per il TPP. Gli investitori che vogliono proteggersi possono acquistare una sorta di assicurazione politica dall’Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti, un’organizzazione affiliata alla Banca mondiale. Un esempio di come questo procedimento possa impedire le regolamentazioni dei governi è rappresentato dal caso dell’azienda Philip Morris, che sta citando in giudizio l’Uruguay e l’Australia per aver messo sui pacchetti di sigarette le immagini degli impatti negativi del fumo. Vista l’efficacia dell’etichettatura, che sta scoraggiando il fumo, Philip Morris ha chiesto di essere compensata per i mancati profitti.

Un fatto che ha destato scalpore e che rinvigorito le proteste anti-TTIP in Europa è anche quello della segretezza delle negoziazioni. A gestire le trattative sono stati i rappresentanti commerciali dei governi e quelli di alcune multinazionali, senza quelli della società civile e i parlamenti nazionali.

Le cause: non solo il libero mercato, ma anche il nodo geopolitico

Uno dei motivi per cui è stato negoziato il TPP, ed è in fase di negoziazione il TTIP, è la volontà di aprire ulteriormente i battenti verso un mercato sempre più aperto e all’insegna del libero scambio, ampliando significativamente il potere delle aziende multinazionali a scapito della sovranità nazionale. Tuttavia, questa non è la sola ragione per cui gli Stati Uniti hanno lanciato questo tipo di iniziative su due fronti, quello asiatico e quello europeo. I due accordi comprendono, come detto, una regione globale vastissima. Il TTIP interessa il Nord America e l’America Latina (Canada, USA, Messico, Cile, e Perù), l’Oceania (Australia e Nuova Zelanda) e il Sud-Est asiatico (Giappone, Brunei, Malesia, Singapore, e Vietnam), ovvero, escluse le Americhe, la regione che circonda per buona parte la Cina. Il TTIP, invece, riguarda il Nord America (gli Stati Uniti) ed il Vecchio Continente (Unione Europea), una sorta di estensione economica della NATO. L’esclusione di Pechino da una parte e quella della Russia dall’altra sono tutt’altro che casuali. Il TPP sta alla Cina proprio come il TTIP sta alla Russia: la volontà degli USA è quella di lanciare un messaggio geopolitico di ostilità nei confronti di Pechino e di Mosca, con un’operazione mirata ad isolare le due potenze della coalizione BRICS. Il TPP mira ad inglobare il Sud-Est asiatico nel “blocco” commerciale a guida americana sottraendolo il più possibile dalla fortissima (ed inevitabile) influenza cinese, mentre il TTIP invece spingerà ancor più l’Europa dall’altra parte dell’Atlantico allontanandola, di conseguenza, dalla vicina Russia. L’obiettivo americano è quello di impedire la formazione di un asse Berlino-Mosca-Pechino che, oltre agli evidenti aspetti economici per i Paesi facenti parte della massa eurasiatica, rappresenterebbe un blocco geopolitico fortemente indigesto agli USA. Riguardo al nodo geopolitico, inoltre, tornano attuali le parole dell’ambasciatore russo Felix Stanevskiy, rilasciate alla rivista Formiche.net: “[…] Tutto un gruppo di altissimi generali americani ritengono che sia la Russia e non l’Isis a rappresentare il maggior pericolo per gli Stati Uniti. Secondo il generale Paul J.Selva l’ordine delle minacce è il seguente: Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, raggruppamenti di estremisti islamici. Lo stesso presidente Barack Obama ha fatto chiaramente capire che la minaccia russa viene prima di quella dello Stato islamico […]” Dunque, i due accordi possono essere considerati, in chiave geopolitica, come un tentativo americano di ostacolare Cina e Russia, anche per l’escalation del potere economico rappresentato dalla coalizione BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), che si propone di fornire un’alternativa economica a quella attuale. A questo proposito è da sottolineare l’esclusione del Brasile dal trattato, che contrasta con l’inclusione di Cile e Perù, in un contesto, quello sudamericano, sempre più contagiato dagli ingenti investimenti cinesi.

Gli effetti: l’esclusione della Cina

L’esclusione della Cina dall’accordo avrà degli effetti negativi sia per Pechino stessa che per i Paesi firmatari. Sulla base delle stime di modelli econometrici per calcolare l’impatto dell’esclusione della Cina, Pechino subirà una perdita stimata di 46 miliardi di dollari statunitensi, con dei costi significativi, soprattutto in termini di opportunità di crescita, per i Paesi firmatari dell’accordo. Il modello calcola che con un eventuale inclusione della Cina il TPP genererebbe una triplicazione dell’aumento nella crescita economica globale, con la Cina che guadagnerebbe 800 miliardi di dollari e gli USA 330 (sempre in termini di dollari statunitensi). Un effetto positivo per l’Europa e la Cina dal TPP è il fatto che Pechino potrebbe guardare sempre più al mercato europeo, di cui è il più importante partner economico (gli scambi sino-europei hanno raggiunto i 467 miliardi di euro nel 2014). Proprio per questo motivo il Ministro delle finanze inglese, George Osborne, di recente, sta cercando di approfondire sempre più i legami economici tra Londra e Pechino. Il fatto che il tradizionale alleato USA cerchi di aprirsi al mercato cinese dimostra quanto la Cina stia attirando sempre più verso di sé l’asse economico globale, cercando di diventarne presto il centro di gravità. L’egemonia del dollaro è infatti sempre più minacciata dall’ascesa dell’utilizzo dello yuan negli scambi internazionali. Come mette in luce il grafico tratto dal The Economist, dopo il passaggio da sterlina a dollaro, stiamo assistendo ad una possibile transizione da dollaro a yuan.

ttip-cesem

Fonte: The Economist

Chiaramente, una transizione da una moneta all’altra in questo periodo sarebbe più difficile, a causa del contesto dovuto alla globalizzazione. A questo punto sarebbe opportuno cercare di collaborare il più possibile perché non ci sia una moneta über alles, ma un sistema economico multipolare che, però, gli USA vogliono scongiurare.

In risposta all’esclusione dall’accordo, dal canto suo, la Cina sta cercando di concludere al più presto il Partenariato economico regionale globale (RCEP) con la Corea del Sud e l’India (altra esclusa “eccellente” dal TPP), con gli Stati dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, tra cui Cambogia, Indonesia, Laos, Myanmar, Thailandia e Filippine, che non fanno parte del TPP) e sette che invece del TPP fanno parte (Australia, Brunei, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore e Vietnam). In termini di commercio globale il TPP e il RCEP contano più o meno la stessa quota: 13% e 12% rispettivamente. Con la differenza che, grazie a Cina ed India, il RCEP ricopre circa metà della popolazione mondiale, contro il “solo” 10% del TPP.

Anche se la Cina è al momento fuori dal TPP non è escluso che possa entrare a farne parte in futuro per la sua forte domanda interna, causata anche dalla nuova economia basata sul consumo improntata dal governo di Pechino, a cui gli USA difficilmente potranno rinunciare.

Conclusione

Il TPP, concluso e in attesa delle ratifiche dei Paesi firmatari, ed il TTIP, che dovrebbe chiudersi entro la fine del 2016, rappresentano una mossa americana per colpire la Cina e la Russia nello scacchiere geopolitico internazionale, impedendo la formazione dell’asse Berlino-Mosca-Pechino. Animati dal principio del libero scambio, gli accordi potrebbero avere degli effetti negativi sulle economie dei singoli Paesi nel lungo termine, a favore delle grandi aziende multinazionali che potranno avvalersi di un “tribunale internazionale” per citare in giudizio i governi nel caso in cui dovessero intralciare i loro interessi regolamentando il mercato. E tutto ciò sta sostanzialmente avvenendo sottobanco, senza la partecipazione dei parlamenti nazionali e della società civile alle negoziazioni.

Nebojsa Radonic

Sitografia

http://www.lastampa.it/2014/11/14/blogs/underblog/ttip-stiglitz-panne-paure-irrazionali-per-ilft-come-se-il-trattato-riducesse-tutele-lavoro-dice-redditi-anche-favore-delle-multinazionali-bFPCU7xJszVKxwgjxotafL/pagina.html

http://www.ase.tufts.edu/gdae/policy_research/TTIP_simulations.html

http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-10-06/tpp-trade-deal-who-stands-to-benefit-suffer-in-asia-pacific

http://www.economist.com/blogs/freeexchange/2015/10/weeks-issue

https://ase.tufts.edu/gdae/Pubs/wp/14-03CapaldoTTIP.pdf

http://www.eurasiareview.com/18102015-trans-pacific-partnership-the-view-from-china-analysis/?utm_source=GEGI+Round+Up+43+Eblast&utm_campaign=GEGI+Round+Up+43+Eblast&utm_medium=email

http://formiche.net/2014/06/12/perche-cina-russia-temono-il-ttip/

http://formiche.net/2015/10/16/obama-tpp-usa-presidenziali/

http://www.ilpost.it/2015/10/05/trans-pacific-partnership-tpp-accordo/#

https://agenda.weforum.org/2015/05/are-corporations-using-trade-deals-to-override-democracy/

http://www.internazionale.it/

http://dariotamburrano.it/wikittip/doku.php?id=cos_e_il_ttip

https://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_transatlantico_sul_commercio_e_gli_investimenti

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